sabato 23 dicembre 2006

L'ubriacatura delle feste



Giornata di domande retoriche.
Perchè i ragazzi si ubriacano?
Per noia, immagino. Per una sorta di sfida di virilità credevo. Un po' come fare a chi ce l'ha più lungo.
Ma allora perchè si ubriacano le ragazze?
Le vai a prendere che sono splendide: gonne corte, tacchi alti, capelli appena tagliati, trucco perfetto. Belle come la Barbie. O almeno Skipper.
Dopo tre ore la metà di loro sembra l'ombra di Marta Marzotto.
Trucco sbiadito, capelli demoliti, gambe barcollanti.
Le gote sempre più rosse. E quel sorriso. Quella risata ubriaca di whisky, limoncelli e piñacolade che mi gela il sangue.
La notte si chiude fra vomito, lacrime e discorsi autocommiserativi.

Bilancio serale: Sobri 5, Ubriachi 6.
Accidenti, perdo sempre.

venerdì 22 dicembre 2006

Sciocche disillusioni...

- E tu che mi racconti?
- Che le devo dire professoré… fra quattro esami mi laureo…
- E che aspetti ? quattro esami si fanno in 6 mesi!
- Si, è la tesi che mi preoccupa un po’…
- Vabbè dai… con quella ragazza… di dov’era…
- No… è finita…
Istante di silenzio.
- Vabbè… Tutto finisce.
Osservo le sue labbra ricurve e tese. Il suo sguardo basso.

Come sarebbe a dire “tutto finisce”?
No. Non ci sto. La vita, l’amore, l’arte.
Non “tutto finisce”. Non finisce proprio un accidente, anzi.
Tutto si trasforma… soprattutto l’Amore, che è perenne come l’erba.

mercoledì 13 dicembre 2006

Ancora i matrimoni

Sapete invece cosa amo?
Amo il vecchietto che una settimana fa mi viene vicino e mi fa:
- Ma lei è fidanzato?
- No, per il momento no.
- Bravo. Io so’ sposato da 42 anni. Co’ quella là. Me la tocca sempre portà appresso.
La vecchietta un po’ distante da noi ci guarda e scuote il capo.
- Suvvia, non si lamenti. 42 anni son tanti.
- Umpf.
Allarga le braccia.
- E so’ tanti si.
Il vecchietto torna dalla sua agrodolce metà.
Lei lo osserva e le sue labbra silenziose si tendono in un sottile sorriso.
Che contiene l’Amore, pazienza di una vita.

I matrimoni


Odio i matrimoni.
Posso dirlo?
Odio i matrimoni.
Odio gli abiti da sposa da migliaia di euro e le diete che le novelle spose compiono per indossarli.
Odio gli abiti da uomo che sono tutti Carlo Pignatelli e hanno tutti il sapore della plastica cinese.
Odio i sorrisi beoti dei genitori e i fazzoletti imbevuti di lacrime delle mamme.
Odio l’eleganza posticcia dei testimoni e l’invidia degli astanti.
Odio i preti che aumentano di anno in anno i momenti ritualistici, fino a fare della cerimonia sacra un grand guignol del buonismo volto a convincere tutti i bambini che l’amore DEVE essere eterno.
Altrimenti Gesù bambino quest’anno non metterà doni sotto i loro abeti.
Odio le acconciature fatte di perle e stucco romano, che sembrano caschi di frutta esotica.
Odio le basette disegnate col bisturi dai solerti barbieri. Perché non si sposa mai nessuno con la barba?
Odio le macchine da sposa, illusione di un’inesistente e futile benessere economico.
Odio lo stramaledetto pranzo di nozze.
Che dura sempre più di sei ore e sfida ogni volta l’umano limite di ingurgitare carboidrati e proteine.
Odio i nomi delle portate scritti sui menu. Il lattonzolo in letto di insalata con aceto balsamico del ’74 resta una normale fetta d’arrosto.
Odio i parenti che vivono i pranzi di nozze come occasioni uniche di sfidare la cirrosi epatica.
Odio gli stornelli degli amici che altro non sono se non la secolare perpetuazione della volgare bassezza umana.
Odio il riso, i confetti e qualunque altra cosa venga lanciata contro gli sposi che non siano pietre.
Odio il soprano che intona l’Ave Maria di Schubert con imbarazzante presunzione.
Odio le centinaia di macchine fotografiche che cercano di immortalare un evento tanto bello quanto falso.
Odio fotografi e operatori video che comandano la cerimonia, certi del fatto che tutto ciò che conta è la perfetta apparenza.
Odio le feste, i festini e i party pre, durante e post matrimoniali. Inutile abbuffata di mignon, stornelli e panini con la porchetta.
Odio lo spreco di cibo. In maniera abissale odio lo spreco di cibo.
Odio le foto di gruppo di cui non frega mai niente a nessuno e che sono banali testimonianze della propria presenza sul luogo del delitto.
Odio il cantante dei matrimoni che sfodera tutto il suo repertorio di Ramazzate, Celentine e Dalessiate varie.

Scusate il mio sfogo.
Ho appena terminato il montaggio del 68° matrimonio di lavoro.
E vi prego, se doveste sposarvi… non mi invitate mai.

sabato 2 dicembre 2006

La coccinella e lo studente


Piccoli ulivi scarabocchiati sul prato verde, mentre un freddo profumato di dicembre sospende il tempo.
Una coccinella si ferma vicino alle sue mani così poco contadine.
- Ma guarda… ho compagnia. E pure fortunata!
- Fortunata… per te sicuramente… per me un po’ meno. E vedi di stare attento con quelle zampe, ragazzo!
- Tranquilla, tranquilla… non ti schiaccerò
- Ma sentilo! Casomai sarò io che non mi farò schiacciare…
- Che caratterino! Ma lo sai che se sei tanto bella quanto acida?
- Che fai, ci provi? Guarda che sono una coccinella seria, io.
- Stai calma, non avevo cattive intenzioni! Sarai pure bella ma… non direi proprio il mio tipo…
- Ah, se è per questo neanche tu il mio… e comunque smettila con questa storia della bellezza che mi hai scassato le ali.
- Ma che ti lamenti? Ti osservavo prima passeggiare fra le foglie… così sicura di te, del tuo rosso, così fiera…
- Sei uno scemo ragazzo
- Perché?
- Ti sembro bella? Una specie di goffa sfera spezzata che ha quasi rinunciato al volo ti sembra bella?
- Francamente… a me si!
- Sei un caso clinico
- Io proprio non ti capisco
- Figurati! Conosci la nostra storia?
- No
- Ti spiego. Secoli e secoli fa noi coccinelle eravamo molto diverse: sottili come chicchi di riso e accese di un rosso così luminoso da farci sembrare fatte di luce. Volavamo sempre, in continuazione…
- E poi?
- Calma… accidenti, sei ignorante e impaziente… e poi… sai quanto è facile per i passeri bastardi riconoscere il nostro colore? Beh, col tempo venivamo decimate sempre più da predatori grandi e piccoli. Le sopravvissute iniziarono un lento mutamento che le portò ad assumere la forma sgraziata che abbiamo oggi. E tu mi parli di bellezza…
- Ma scusa… non capisco…
- Non mi stupisce…
- Perché invece di veder modificato il vostro corpo non è cambiato il vostro colore?
- Perché siamo coccinelle. Poche e goffe ma coccinelle, perdiana!
- Accidenti che orgoglio! Ci credo che siete così rosse! Però non avete risolto il problema degli uccelli in questo modo…
- Già, i passeri bastardi. È vero. Ma sai perché adesso stavo andando sulla cima dell’ulivo prima che tu mi rompessi gli attributi che non ho? Perché ogni giorno una di noi sale su un albero e con il proprio colore grida al mondo che il popolo delle coccinelle è vivo. E che non soccomberà ai passeri!
- Secondo me te sei tutta fuori di zucca… fossi in voi, con la sfiga che avete avuto con questa evoluzione, mi rintanerei fra l’erba fino a diventare verde! In barba ai predatori!
- Non hai una femmina, vero?
- Una ragazza intendi? No, in questo momento no.
- Non avevo dubbi. Chi vuoi che ti si prenda con quel capoccione vuoto che ti ciondola fra le spalle… ricorda una cosa ragazzo: il destino, la nostra essenza o la nostra storia, bella o brutta, dolorosa o leggera che sia, rappresenta ciò che siamo. E spesso non è neppure frutto delle nostre azioni o della nostra volontà. Guarda me: io mica ho scelto di avere questo colore. Fossi nata cimice puzzerei, fossi nata formica sgobberei tutto il giorno. Fossi nata scarafaggio giocherei con le casalinghe. Invece sono una coccinella e affronto come meglio posso le difficoltà che il mio colore comporta.
- Senza rimedio?
- Senza rimpianti. Per il mio rosso non c’è rimedio. Per il fatto di non riuscire ad arrivare in cima all’ulivo a incoraggiare il mio popolo avrei molti rimpianti.

La mano poco contadina si apre dinanzi a lei.
- Sali
- Non facciamo scherzi, eh?
- Smetti di rompere e sali
- Hai la pelle morbida ragazzo… che fai? Studente?
- Si, universitario. Se dici una sola parola in proposito prendo e ti lancio contro il primo tronco che trovo…
- Ma che permaloso… guarda che lo hai scelto tu, mica sei nato con l’università dipinta sulla schiena!
- Toh, scendi. Sei in gamba coccinella… ma la prossima volta che ti incontro giuro che chiamo il passero più infame che conosco
- La verità fa male, eh? Bene… grazie per il passaggio ragazzo. E buona fortuna.
- A te…

Il sole lascia l’uliveto con qualche rimpianto. Aveva voglia di vedere se la coccinella fosse riuscita a portare a termine la sua missione.
Ma è nato sole e perciò a dicembre deve andare a letto presto.
Pazienza, glielo racconterà la luna.

domenica 26 novembre 2006

La capetta

Nel bel mezzo dell’omelia, nel placido ritmo di parole inascoltate, dalla porta della chiesa si è affacciata una capra.
Si, una capretta doc, con tanto di corna e pizzetto.
Con molta circospezione ha controllato la situazione ed è uscita dopo pochi istanti. Giusto il tempo perché la piccola trottola rosa che avevo davanti gridasse con un sorriso entusiasta aperto da un occhio all’altro: «UNA CAPETTA MAMA!».
In molti ci hanno sperato, in pochi le hanno creduto.
Nascosto dall’acquasantiera ero fra quei pochi.

venerdì 24 novembre 2006

Maicol

Non si è mai preparati alle domande che quaranta bambini di quarta elementare possono porti durante una visita al monastero.
- Ma come è possibile che avete costruito tutto questo?
Oppure
- Perché San Benedetto andò via da Roma? C’era troppo smog?
O ancora
- Perché lì c’è il diavolo? Ma che il diavolo l’hai visto veramente?
Ma sotto una volta che ancora si fregia di bizantini santi, il piccolo biondo – credo Micheal o Maicol (a seconda della soap e del livello di alfabetizzazione dei suoi) – mi tira per la manica della giacca.
- Guida, lo sai che la notte di allouìn mio nonno è morto e prima ho visto un angelo che somigliava proprio a mio nonno?
Ha gli occhi lucidi il piccolo Maicol, tanto che un suo amichetto gli chiede cos’ha, stupito che sembri diverso. Dunque gli mette un braccio sulla spalla e me lo porta via.

Non ho fatto in tempo a risponderti con una delle mie celebri banalità, piccolo Maicol.
Ma tuo nonno è un angelo fortunato.

giovedì 23 novembre 2006

Sull’autogrill di Montepulciano mi sono fermato e ho pianto

Sono fermo all’autogrill di Montapulciano, come da 26 anni a questa parte succede durante i miei viaggi.
200 km di asfalto percorsi e 200 km da percorrere.
Sotto i miei piedi scorre il traffico autostradale, placido e sicuro come un fiume dotato di due correnti ostinate e opposte, indeciso se raggiungere il mare o tornare alla fonte.
Fra poco anche io tornerò in quel flusso. Sto andando verso il mare io. Verso la normalità, la routine, la solitudine. Alle spalle mi lascio le radici. Lascio la mia fonte.

Un professore una volta mi disse:« we have to leave our roots and follow our routes».
Sarebbe bello uscire al primo casello e prendere la prima strada senza nome. Inseguire la propria serenità in un luogo in cui ancora non sono.
Oppure restare qui. In un non luogo senza identità. Uguale a tanti altri porti in cui gli individui si incontrano, si lambiscono. Un non luogo in cui l’umanità accade.

La verità è solo che sono a metà del mio cammino di crescita, e come in questo autogrill mi piacerebbe sentirmi sospeso dal flusso che mi reclama insistente e oppressivo.
Vorrei alzare un momento la testina del giradischi per capire in quale brano posso posizionarla.
Osservare sotto la puntina i riflessi luminosi del vinile che ruota vorticosamente cercando di capirne il senso, osservando le luci delle auto che passano sotto le mie suole.

Mi accorgo solo ora che a prescindere dalla direzione le auto si stanno dirigendo tutte verso la sera. È sempre comunque tutto un viaggio incontro alla notte e poi al giorno.
Si tratta di scegliere il ritmo giusto.
Il punto esatto in cui poggiare la testina sul disco e, dopo lo schiocco sordo, attendere il suono e poi la melodia. Lasciare che tutta si svolga perché le nostre orecchie ne facciano proprio il senso.

Devo andare.
Non ho pianto, non ne ho il tempo.
Si sta facendo sera e non voglio andare troppo incontro alla notte.

mercoledì 22 novembre 2006

Due fotografi a Lucca

Cosa ci fanno due fotografi imprigionati in un riflesso? la cosa più elementare: si fotografano!
Un saluto ad Ainda, che ha sfruttato le sue competenze fotografiche in questa giornata toscana...