domenica 27 gennaio 2008

Il cappotto - Una metafora postmoderna

Vi è mai capitato di innamorarvi a prima vista? No, scusate, stavo parlando di abbigliamento. Vi è mai capitato di vedere in una vetrina un maglione o una gonna e pensare «Fermi tutti! Quello c’ha scritto il mio nome sulla stampella!»
A me è successo un paio di settimane fa con un cappotto. Nero.
Devo premettere alcune cose: io odio i saldi e odio comprarmi vestiti. Però dicono sia un male necessario. Lo dice soprattutto tua madre se possiedi un cappotto vecchio e logoro che indossi ogni giorno di inverno da almeno otto anni.

E dunque in tempo di saldi mi sono avventurato nel centrocommercialepiùgranded’Europa (così dicono) alla ricerca di un degno erede del mio cappotto.

Dopo almeno 76 vetrine lo vedo: nero, avvitato, corto. 69.9 Euro. Quel cappotto ha Benjamin scritto sulla gruccia!
Entro con l’amico che incautamente si era offerto di accompagnarmi e me lo provo. Un guanto. Piccolo? No, non mi sembra. Mi guardo allo specchio: sembro un altro. Azzo che figo… mi guardo intorno furtivamente e faccio con nonchalance un paio di piroette davanti allo specchio. Si si, è lui, lo riconosco! Acrilico? Manco tanto. Quasi tutta lana. Meglio così, la plastica fa sudare. Piccolo? No, non mi sembra. Ho anche il maglione spesso sotto, se mi sta così mi sta con tutto.
Arriva la signorina. Taaaanto caruccia. Mi dice che secondo lei mi sta proprio bene. Sorrido. So’ troppo figo co’ ‘sto cappotto. Graziano annuisce. Chiedo a entrambi se lo trovano piccolo. Due coppie di occhi mi guardano attentamente e poi due bocche con gli angoli in giù mi rispondono di no. Che non sembra grande.

È fatta. È mio. Cappotto grigio, vecchio e logoro stai per andare in pensione!


Esco con il sacchetto di cartone che danno solo a quelli che acquistano cose troppo… troppo giuste per stare nel nylon. Mi sento già più bello, mi sento già… nuovo! Nuovo, si, mi sento nuovo! Che bello, non pensavo che sarei mai riuscito a sostituire il vecchio topone che mi riparava in inverno! La gente mi guarderà con occhi nuovi, gli amici mi chiederanno dove, come, quando… un cappotto nuovo è un po’ una rinascita, un voltar pagina. E questo mi descrive bene.
Perché l’abito non fa il monaco. Ma il cappotto…


Arrivo a casa.

- Mamma! Ho comprato il cappotto nuovo!

- Dio sia lodato! Non ti ci potevo più vedere con quel coso…

- Ecco qua! Eh? Come mi sta? Eh?

-

- Oh? Beh?

- Ma non è… piccolo?

- A Mà, ma che stai a dì?

- Boh. A me sembra piccolo.

- So’ io che so’ piccolo… mica me potevo compra’ ‘na 48…

- Ma perché, quanto è?

- 44

- 44?

- Eh…

Mia madre scuote la testa. Arrivano le mie sorelle.

- Carino si. Pare un po’… ma che è da femmina? No. Ah no, è che…

- Non è un po’ piccolo?

- Ancora? Che palle…

- Guarda che, secondo me, lì sotto il vestito non ti ci entra mica…

- Ma và, me lo so’ provato col maglione!

- E provatèlo…

Metto il vestito. Giacca e cravatta. Nel frattempo rientra pure mio padre e mio fratello.

- A Ben, ma che sei scemo? Manco un cappotto te sai comprà?

- Guarda che sto bene, mica tirano i bottoni!

- Eh, ho capito… ma è proprio risicato risicato…

Ma come? La commessa… Graziano… che fossero tutti impazziti? E io? A me sembra che sto bene, mi pare proprio… io mi ci sento bene! E infatti non ci hanno capito niente… io me lo tengo! Certo che… certo che se in cinque hanno reagito così… magari… boh, forse hanno ragione loro. Magari lo dovrei cambiare… ma non c’erano altre taglie, cavolo! E allora? Che sia veramente così risicato? Certo, mica mi va di far ridere la gente… mica mi metto a fare il pagliaccio in giro, io…

Ho riportato il cappotto al negozio. L’ho cambiato con delle felpe tribali per mio fratello. Sono uscito senza aver voglia di guardare nessun’altra vetrina. No no… forse è destino… l’anno prossimo sarà il nono inverno per il mio vecchio, logoro cappotto grigio. Dovrò ricucire gli strappi della federa, l’anno prossimo.

La gente non capisce niente.

Piccolo? Io ci stavo proprio bene con quel cappotto nero.

44.

venerdì 11 gennaio 2008

Può la mente umana dominare ciò che ha creato?

Interruzione, incoerenza, sorpresa sono le normali condizioni della nostra vita.
Sono diventate finanche dei bisogni reali per tante persone le cui menti non sono più nutrite (...) da nient'altro che mutamenti repentini e sempre nuovi stimoli (...).
Non riusciamo a sopportare più nulla che duri.
Non sappiamo più come mettere a frutto la noia.
(...)
L'intera questione si riduce dunque a questo: può la mente umana dominare ciò che ha creato?

Paul Valéry

lunedì 7 gennaio 2008

Ingannevole è il cuore più di ogni cosa

Le sue mani, fra le ombre intermittenti della macchina, prendono la mia. Sono calde e ingenue. Sono grandi. Sono ruvide.

Non accarezza la mia mano. Semplicemente la tiene, la stringe come se volesse portarsela via. Poi mi guarda e sorride e mi guarda e ride. E se tolgo gli occhi dai suoi ride di più e mi dice che ho perso.

Ho perso.

Intanto si accoccola sul sedile come farebbe un gatto. Mi guarda dal basso, mi guarda attraverso i suoi ricci. Sorride meno e pensa. Abbassa lo sguardo e dice che sono stupido. Lo so, rispondo. Dice che sta bene. Le dico che mi fa piacere.

In realtà tremo al pensiero che questa bolla di sapone rotola su un tappeto di spilli.

Si alza di scatto e fa una smorfia. Non ha voglia di tornare a casa. Lo so, ma deve. Non voglio che sua madre la sgridi. Mi risponde che non le interessa, che è per una buona causa. No, non lo è ed è meglio che vada. Le ripeto di darmi retta, che lo dico per il suo bene. Mi risponde che il suo bene è lì in quel momento. No! Piccola fuggi che io faccio male alla gente! Faccio male a chi mi vuol bene... Faccio male a te.

Mi da uno schiaffo ridendo. Non dire stupidaggini, dice. Non sono stupidaggini. Mi dà una spinta sorridendo. Si che lo sono. Allora fingo di farle il solletico e di nuovo sbaglio. Non chiedeva di meglio e me la ritrovo sdraiata in grembo, fra il mio corpo e lo sterzo.

Silenzio.

Non mi guarda più. Però dice che vuole restare così, dormire così fino a domani. Provo una tenerezza sconfinata. Vedo le sue speranze, i suoi sogni, i suoi problemi annodati fra i riccioli. Ci passo sopra una mano solo un attimo, come per liberarli. Lei chiude gli occhi. Dai, devi andare, tua madre ti aspetta da un quarto d’ora. Sbuffa a lungo. Sembra offesa. Come chiedersi perché rovino momenti simili. Non sa che lo faccio apposta. Si stancherà.

Prima di scendere le ripeto che non è possibile tutto ciò. Mi risponde che non abbiamo scelta. Ma certe frasi ce l’ha ne dna una ragazza? Rido. Si che ce l’abbiamo. In realtà penso che ce la scelta ce l’ho solo io e devo devo devo devo devo devo decidermi a tranciare di netto questa situazione prima che lei si faccia troppo male.

Ma fa male l’idea di perderla.

E certi sguardi fanno un uomo vigliacco.