venerdì 28 marzo 2008

Grrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr

RABBIA!!!!
Ok, scrivo questo post sull'onda della rabbia ma stavolta sono proprio nero. Forse poi lo cancello. Forse.

Non faccio più parte del Progetto Movie.

E la cosa peggiore è il motivo: il vil denaro.

Quest'anno mi avevano (come al solito) considerato meno di zero. Mi avevano buttato nel progetto senza contattarmi direttamente, senza chiedermi neppure se ero disponibile a farlo e senza alcuna precisazione di natura economica. Alle mie richieste hanno risposto sempre con un "è tutto come l'anno scorso, Ben, tutto come l'anno scorso".
E dopo già otto incontri nelle classi mi convocano in ufficio per dirmi che quest'anno mi pagano un terzo degli scorsi anni. Per fare un quarto di lavoro in più, per giunta.

No. E che cazzo. Avete tolto il mio nome dai manifesti, vi siete presi per due anni meriti che non vi appartenevano e quest'anno oltretutto mi dite dopo un mese dall'inizio che mi pagate una sciocchezza?
No, belli de casa, Ben si è un po' rotto i coglioni di essere trattato come l'uomo delle pulizie del distretto sociosanitario.

Però quegli occhi e quelle voci... RABBIA! Avessi tempo lo farei gratis 'sto cavolo di progetto! Da solo lo farei però... 'fanculo agli psicologi dei miei stivali, al diavolo le assistenti sociali pettegole. I discorsi economici si fanno prima di iniziare a lavorare, cavolo! Non dopo aver illuso i ragazzi, maledetti... due sessioni d'esame mi ci sono giocato l'anno scorso... però quegli occhi... vigliacchi...

Ok, con calma... sapete qual'è la cosa che più di ogni altra mi rende furioso? Il fatto che per giunta la capa ha cercato di addossarmi le colpe: non è che quest'anno mi paghino poco. Sono gli altri anni che mi hanno pagato troppo! Sono io che sono avido e senza scrupoli! Non loro che hanno mangiato di gusto belle fette della torta e si sono prese i meriti su un palco senza alzare neanche un dito...
Benjamin, lo stronzo sei tu.

Ma come faccio a lasciare i ragazzi? Devo trovare una soluzione...
Non ho mai abbandonato in vita mia un treno in corsa.
Fa male.
Fa male.
Fa male.
Ma fa più male la mancanza assoluta di rispetto per un lavoro in cui credo e che amo e che ho sempre svolto con assoluta dedizione.
Un lavoro che però resta, per impegno e tempi e DIGNITA', un lavoro. Vero.

venerdì 21 marzo 2008

Profumi primaverili

Ci sono molte cose che rendono storica una giornata. Cose tipo quegli eventi che trasformano una data in una ricorrenza.
Beh, ieri si è verificato un piccolo evento.
Piccola premessa: da cinque anni procedono a singhiozzo i lavori di ristrutturazione di quella vecchia casa di campagna che molto presto (spero) sarà conosciuta con il nome di Casa Brown. Cinque anni di operai, muratori, idraulici, elettricisti, piastrellisti, fabbri e via dicendo.
Questa settimana ho iniziato a tinteggiare. La camera da letto. Rosa.
E non è questo l’evento.

Alle 16 del 20 marzo 2008, per la prima volta nella sua secolare storia, Casa Brown è stata invasa dal profumo di una moka. Una Bialetti da due tazze per la precisione.

Ci sono molte cose che “fanno casa”: il bagno finito con i primi asciugamani puliti, il pc sulla scrivania (lo so, è opinabile…), il suono del campanello di casa, rimediare una sedia a dondolo, lo spioncino sulla porta. Ma nessuno di questi è paragonabile al borbottare della Bialetti e al profumo di caffè che prende possesso dell’ambiente.

- Ma come cazzo t’è venuto in mente?

- Che?

- No, dico… il colore…

- ‘mbè?

- Rosa?

- Rosa

- Rosa finocchio…

- Rosa finocchio sarà camera tua! Questo è rosa-gazzetta-dello-sport…

- Peggio me sento. Pure interista…

- Che palle che fai… e sta’ attento co’ quel rullo! So’ proprio curioso de sape’ come farai camera tua…

- Ovvio. Giallorossa.

- Complimenti. Immagino la gioia della tua futura consorte…

- Sempre meglio che rosa… versa il caffè và, prima che se fredda… rosa finocchio… non c’hai mai capito un cazzo, Ben…

lunedì 17 marzo 2008

Diario di bordo n°1

E salpare, di nuovo. Quattro nuovi equipaggi, quasi sessanta nuovi marinai. Che poi sono centoventi nuovi occhi da accendere.

Salpare di nuovo, con carte rinnovate e terre ormai conosciute. Salpare con più certezze, sentire di possedere una cartografia più precisa che in passato.
Salpare con il preciso intento di raggiungere le Americhe e non le Indie.

Salpare con la voglia di formare nuovi capitani. Quest’anno le regole le detto io. Tutte. E allora largo ai marinai dell’anno scorso che vogliono tornare sul ponte, largo a chi ha ancora voglia di sentirmi urlare “silenzio, si gira!!”, largo a chi vuole stare davanti o dietro una videocamera senza volere in cambio nient’altro che il piacere di sentirsi parte di un equipaggio.

Il progetto Movie sta diventando una realtà. Quest’anno avevo deciso di non salpare per via della tesi che incombe. Ma non ho avuto il coraggio di cancellare la prima lettera dalla fronte di questo golem che diventa sempre più forte, sempre più potente. Un giorno sarà lui a difendere me, forse lo sta già facendo.

Miriam e Michela hanno recitato lo scorso anno e quest’anno non hanno tempo di darci una mano. Miriam ha deciso di tentare la strada della recitazione in una scuola della capitale e mi ha riempito di orgoglio nel dirmelo. Michela mi ha chiesto di leggere le poesie a cui si sta dedicando con assoluta dedizione. Vuole che le dia un parere e che le spieghi perché si sente così malinconica.

E’ arte, baby.

Sono contento. Che il tempo ci assista.

lunedì 10 marzo 2008

La macchinetta

La luce del primo pomeriggio romano entra timida dalla finestra di alluminio. L’infermiere ha gli occhiali calati sul naso e il corpo calato sulla poltrona. È ora di pranzo, la sua collega ha fame.

- Signor signor…

- Ranci.

- Benissimo. Ecco qua. Signor Ranci di Colle Orsini. Firmi queste carte, ora vi spiego come funziona la macchinetta.

Sul tavolo una dozzina di macchinette viola e bianche. Al di qua della barricata io e Marco. Io e Marco ci conosciamo da quando siamo nati: stessa età, stesso palazzo, stesse scuole fino al liceo.
Suo padre sta morendo.

- Allora: questo è l’apparecchio. Lo devi aprì così. Poi ce metti dentro il tubbicino della flebo così, come un cappio. Poi lo richiudi e je fai fa’ er fill. Quando è pronto fa un bippe e je puoi da’ er via. Capito tutto? Bene, rifallo.

Marco sorride, prende l’apparecchio, ripete le operazioni. Semplice. Mi guarda sorridendo e dice “semplice, no?”. “Semplice”, faccio io. Entra la dottoressa e avrà la nostra età. Fa un po’ impressione scoprire che le dottoresse del Policlinico hanno pressappoco la nostra età. Sorride poco, è molto professionale e stanca.

- Vi hanno spiegato come funziona?

- Si

- Bene, questo è lo schema della nutrizione. C’è scritto quanto dovete dare a vostro padre giorno per giorno.

A quel “vostro padre” ci lanciamo un’occhiata sorridendo. Nessuno dei due ha il coraggio di dire alla dottoressa che non siamo parenti. Penso anche che non gliene importi un granché. Ad un certo punto però lei spiega le cose più a me che a Marco e io mi sento un po’ in imbarazzo. Mi fa domande a cui non so rispondere. Alla fine ci congeda con un sorriso e una stretta di mano professionale. E stanca.
Per le scale inizio a chiamarlo “fratello”. Ci ridiamo un po’ su. Poi usciamo e tutto il resto è Roma.

- Ben, non ho voglia di tornare. Portame in giro pe’ Roma. Erano anni che non ce venivo.

- Te l’avevo detto io di prendere l’università… non m’hai voluto dar retta…

- C’avevi raggione. Guarda quante ragazze…

- Beh dai, non è mai troppo tardi

Sorride.
Sorrido.
Entriamo in macchina.
Il paese aspetta il nostro ritorno.

sabato 1 marzo 2008

Storie di ordinaria follia

Il prof era sempre stato seduto. A scuola, s’intende. Non era uno di quei prof moderni che chiacchierano con gli studenti o si siedono sopra la cattedra ammiccando. Il prof aveva attraversato venticinque anni di carriera scolastica seduto – o barricato, dipende dai punti di vista – dietro la cattedra. Colonna portante del biennio dei geometri, il prof dietro la cattedra spiegava la geometria e l’algebra seguendo una sequenza che con gli anni aveva assunto i contorni del rito: entrava in classe, attraversava il chiasso dei quindicenni, si sedeva e sbatteva con forza la mano destra sopra la cattedra. Non alzava mai lo sguardo. I ragazzi tacevano per cinque minuti, si sedevano e, come un moto inesorabile e rapido, tornavano a parlare fra di loro. Il prof non li guardava mai. Seguitava a spiegare in mezzo al frastuono, seduto, senza alzare mai lo sguardo. Il suo sguardo era sempre spento. A memoria di bidello il prof non aveva mai sorriso.

Dicono che la moglie fosse scappata con un altro, che la figlia non lo volesse più vedere. Dicono che sniffi e che beva ogni sera. Dicono che vada dallo psicanalista da almeno dieci anni e che abbia un’amante rumena molto più giovane di lui. Dicono che abbia perso un mucchio di quattrini al gioco. Dicono.

Ieri mattina il prof si è seduto, ha battuto la mano, ha atteso che i ragazzi facessero silenzio. Poi è rimasto zitto. Come in attesa. E, inaspettatamente, ha alzato lo sguardo. E sorriso. I ragazzi stavolta sono rimasti in silenzio.

- Il primo che parla lo pesto

Pare abbia detto proprio così. Ma nessuno ci ha creduto. Tanto che Michele ha risposto.

- Come professò?

- Michele vieni qui.

Michele si è avvicinato al prof sorridendo, nell’incredulità della classe. Il prof si è alzato, ha afferrato Michele per il colletto della camicia e quasi sollevandolo da terra ha attraversato tutta la classe, sbattendolo contro il muro. Poi ha sollevato la mano destra e lo schiaffo è stato così forte da spedire Michele direttamente contro il termosifone. A terra Michele ha ricevuto un paio di calci, prima di riuscire a fuggire piangendo.

Il prof invece ha preso il suo soprabito e, stando a quanto ha detto Pina, la bidella, ha presentato le proprie immediate dimissioni al preside.

State cercando la morale, il senso? Non c’è. Perché il fatto è accaduto veramente, questa mattina, a scuola di mio fratello.