venerdì 16 marzo 2012
Trentasett'anni di clandestinità
Si siede accanto a me con tutto il suo impermeabile giallo dai risvolti blu. Mi chiede scusa per avermi fatto spostare il bagaglio e i libri e la giacca. Le rispondo che non fa nulla. Lei insiste e io ribadisco che davvero non fa nulla.
È una signora anziana dai capelli bianchi e corti, con anelli vistosi che le ornano praticamente ogni grasso dito delle mani. Come tutte le signore anziane ha una gran voglia di parlare e non si cura troppo del fatto che io stia leggendo. Anzi, ad esser precisi non se ne cura affatto.
- Ma le pare che una persona sola come sono io, una che non ha nessuno, deve avere quella cosa lì, quell’affare (gesticola con le mani)… per riscuotere la pensione? Quel… come si dice, mi aiuti…
- Vorrei signora, ma non riesco a capire…
- Quella carta che si mette alle macchinette per i soldi…
- Il bancomat?
- Il bancomat! Ma le pare? Ho già due libretti e sono pure vuoti! E questi vorrebbero che… ma le pare… che poi una persona sola come me…
Ha un tono strano la signora. Perché a dispetto di quello che dice e del suo descriversi sola e indifesa, il suo tono non appare affatto quello di una donna sola e indifesa. È ferma, determinata, anche gentile. Soltanto che è una slavina di parole. Dopo avermi raccontato la sua pensione, le sue bollette, il suo vecchio lavoro da ricamatrice e lo schifo di mondo in cui viviamo, mi fa:
- Va bene. Non le dico altro. Lei stava leggendo, la lascio stare.
- Non si preoccupi, signora.
Ma rispondo senza convinzione. E soprattutto tuffandomi in una pagina a caso del libro prima che possa ricominciare con quel vorticoso flusso di coscienza. Lo ammetto: mi sento un po’ in colpa. In vita mia ho ascoltato ogni genere di persona. Ho ascoltato le storie di matti e di monaci, di ragazzi e amministratori, di vecchi e misantropi.
Oggi però ho sonno. E caldo. E una stanchezza tale da impedirmi di comprendere le sue invettive.
Ogni tanto tuttavia sorrido, perché con la coda dell’occhio la vedo spesso girarsi verso di me, nell’intento di intercettare una pausa nella mia lettura. Dopo una decina di minuti gliela faccio trovare: oggi va così.
- Senta, scusi. Sarebbe così cortese da leggermi questa lettera?
Mi porge una lettera dell’INPS.
- Io davvero non capisco cosa dice, se devo cambiare il libretto, se devo usare il computer…
Prendo la lettera e la leggo, maledicendo il funzionario che l’ha scritta. Come si fa a lasciare gli anziani in balia di “website”, “PIN code” e altri ammennicoli digitali? In Italia poi… Ad ogni modo le spiego che riceverà come sempre la sua pensione, solo che non le daranno più il foglio esplicativo.
- Grazie, grazie. Io non so come si faccia ad arrivare a pagare tutto. E poi da sola. Perché fino a che c’era lui, vede… era un’altra cosa. Pensava a tutto lui, ogni problema. Per trentasett’anni ho potuto fare riferimento a lui. Poi la vita me l’ha portato via…
- Accidenti, trentasette anni sono molti… immagino siano un bel bagaglio di ricordi…
Mi guarda bene negli occhi, attraverso le grandi lenti.
- Sono stata molto fortunata. Perché in quei trentasett’anni ci siamo amati molto. E non tutti hanno la fortuna di innamorarsi, di amare. Come ci si è amati noi.
Attenzione. Non è ciò che dice: è come lo dice. Non una lacrima, non un occhio umido. È serena, determinata, lucida nel parlare d’amore. Nelle sue parole l’amore diventa una cosa concreta, non poesia.
- Finché c’è stato, il mio compagno non m’ha fatto mancare nulla. Nulla.
- Che faceva nella vita?
- Ragioniere. Ma alla fine a me non è toccato nulla. Sa com’è: se non s’è sposati, non s’è neanche conviventi…
- Ma come? Tutto quel tempo senza vivere insieme?
- No no! Assolutamente no! Ci si amava, si stava insieme, ma poi ognuno a casa sua. Era un mammone, lui – lo dice con un tono quasi materno – ma a me stava bene così. I primi anni andavo anche in famiglia, da lui. Ma poi sua madre non mi voleva, e allora ho tagliato. E alla fine si sono presi tutto… non ha potuto lasciarmi nulla… l’ho assistito tutta la malattia e loro non hanno voluto rispettare neanche le sue legittime volontà. È stato difficile stargli vicino quand’era in ospedale, sa?
Mi guarda cercando una conferma che non tarda ad arrivare. Tuttavia sono frastornato dalla storia di questa donna, che decide di amare incondizionatamente un ragioniere incapace di emanciparsi dalla dittatura materna.
Immagino le discussioni, i tormenti e questo longevo amore clandestino durato trentasette anni.
Non so decidermi se provare ammirazione o pena. O entrambi.
So solo che la signora interrompe i miei pensieri perché deve scendere alla prossima. Le auguro buona fortuna per tutto e la tranquillizzo nuovamente riguardo la sua pensione.
Lei mi stringe la mano e mi augura di amare, un giorno, quanto ha amato lei.
E io sono davvero contento di aver messo via quel libro, una quarantina di chilometri fa.
Direttamente dall'iperuranio di Benjamin Brown alle 22:19
Etichette: Les petite histoires