sabato 13 dicembre 2008

Il Gentiluomo

- Benjamin ho una cosa per te!
- Era ora…
- Niente soldi, mi spiace… è una lettera.
- Una lettera?
- È arrivata oggi al monastero. L’ha presa don Arnaldo. C’è il tuo nome scritto sopra... anche se…
- Al Signor Benjamin Brown, custode del monast… “CUSTODE”?!? Ma chi è che mi scrive qui??
- Eh eh… con don Arnaldo abbiamo riso mezz’ora… ma cosa gli racconterai alle ragazze a cui fai la guida, eh?

Una ragazza? Non c’avevo pensato. Magari è una ragazza davvero… ma no… mi pare strano. Non è calligrafia da ragazza. E poi quando mai una ragazza scriverebbe “Signor Benjamin Brown”? Certo che se lo fosse… una lettera… sono mesi che non ricevo una lettera di carta e inchiostro…

Ho aperto la busta con un po’ di avida curiosità. Insieme ad un biglietto ci sono due foto. Architetture sembra.


“Gentile Signor Benjamin”
Come volevasi dimostrare non è una ragazza.
“Gentile Signor Benjamin,
nel ringraziarLa per la sua cortese e preparata esposizione al monastero, luogo denso di tale bellezza da avermi profondamente colpito, mi premeva inviarLe foto del chiostro di cui le avevo parlato e al quale si era dimostrato interessato.
In quanto alla Sua intuizione circa la datazione del chiostro, le confermo che ha intuito esattamente, essendo essa successiva a quella posseduta dalla struttura in cui Lei opera.
La mia età non mi consente di recarmi nuovamente in loco per nuove valutazioni, quindi non posso che auspicare una Sua visita all’abbazia di Pietraliquida, che è luogo ameno e saturo di arte.

Nel ringraziarla nuovamente,
le auguro buone feste.

Professor Tancredi Ardemanni”

Colbacco marrone scuro, passo zoppicante da poliomelite, occhiali tartarugati e dolcevita bordeaux. Gentile. Si professore, ora ricordo la nostra chiacchierata.

- Allora Ben... fanciulla?
- Un gentiluomo don Virgilio. Un gentiluomo.

lunedì 1 dicembre 2008

E noi dall'altra parte del cancello

Vivere. Non riesco a vivere. Nessuno mi capisce e poi cosa pretendo? Questi sono discorsi da adolescente. E sicuramente nessuno è soddisfatto del mio lavoro. Mi fanno la parte ma non sono contenti. E poi lavoro troppo. Lavoro troppo e non riesco a dare spazio alle amicizie. I miei amici. Lo so, li sto perdendo, li trascuro. Un giorno non mi chiameranno più. E poi questo periodo è un vico…
- Ben!
- Si!
- Ci sarebbe da fare un gruppo un po’ particolare… e tu sei sempre il più…
- Taglia corto: chi è stavolta? Ciechi? Sordi? Rotaryani?
- È una specie di… beh… sarebbero… malati di mente.
- Malati di mente?
- Malati di mente.
- E che gli dico ai malati di mente?
- Quello che ti pare. L’importante è che li guidi una persona calma. E tu sei il più…
- Si vabbè, ho capito và…

E i matti arrivano in uno strano silenzio. Matti silenziosi. Strano. Arrivano alla spicciolata e non capisco chi di loro sia accompagnatore e chi accompagnato. Devono avere dei disturbi piuttosto contenuti.
Uno mi viene davanti e si ferma a un palmo da me.
Io sorrido.
- C’è stato qui Onorio III?
- No.
- Io studio tanto i papi. Mi piacciono tanto. È Onorio III è il più grande… conosce Onorio III?
- No.
- È il più grande Onorio III.
- Non lo metto in dubbio.
- Perché a me piace la storia dei papi. Ma come Onorio III non c’è nessuno.

Una assistente mi cava di impaccio e iniziamo il giro. Domandano i matti. Domandano sempre, domandano tutto. Osservano, guardano. Sembrano continuamente spaesati e curiosi. Sembrano venti bambini di cinquanta anni.
Ma soprattutto sembrano assolutamente normali. Qualcuno parla da solo. Uno non vuole mai togliersi il cappuccio, una non vuole più alzarsi dalla sedia. Eppure devo sforzarmi per scorgere i loro disturbi.
Una piange.
Piange.

Senza un apparente motivo.
Immersi in uno splendido pomeriggio autunnale.
Lei piange.

Eccolo il loro disturbo, ecco ciò che li rende diversi da me.
Questi matti dimostrano una libertà che io rifiuto giorno dopo giorno, che mi ostino a non accettare.
La libertà di piangere, la libertà di chiedere, la libertà di essere fragili, la libertà di non vergognarsi, la libertà di sbagliare.
Fino a quella paradossale, contraddittoria, illogica libertà di dipendere da qualcuno.

Dovrei smettere di far finta di essere sano.