Ceci c'est pas amour
Li guardo.
Danzano.
Ondeggiano occhi negli occhi.
La musica scorre sotto i loro piedi banale, insulsa e ruffiana.
Danzano.
Si dicono “ti amo” con gli sguardi.
Sono raggianti.
Belli.
Come le statuine sulle torte nuziali.
Io sono un inadeguato.
Io credo che non mi sposerò mai.
Io credo che non mi sposerò mai perché non riesco a non essere coerente.
Io credo che non mi sposerò mai perché non riesco a non essere coerente, e pertanto proprio non riesco a convincermi che l’amore non sia tutta una faccenda culturale.
Lo so.
Dieci anni di matrimoni mi hanno reso cinico e – forse – baro.
Però è così.
Gaber disse una volta: «Io, per me, ogni volta che dico ad una donna “ti amo”, non so mai se è vero, e quanto. Certo, il delirio di mentire e credere è una cosa che si prende così… come il raffreddore. Questo non vorrebbe dire. Quello che per me conta è sapere quanto si finge e quanto si fa sul serio. Perché è proprio da lì, da questa pulizia del sentire, che si può trovare il coraggio di ridare un’occhiata al mondo.»
Gaber si sposò giovanissimo, in chiesa per giunta, e visse tutta la vita amando una sola donna. Forse la sola ad aver accettato un uomo che aveva un così alto rispetto per la parola amore da non saperla pronunciare senza tremare, senza provare quella vertigine, quella paura che il suo sentire più pulito fosse insufficiente ad esprimere un “ti amo”.
E allora si va, ancora si viaggia.
Cercando una donna impossibile, in grado di accettare un sentimento che forse non esiste.