venerdì 31 ottobre 2014

Raggio di luce sopra l'abisso

Il bello della mia bottega è che molte belle persone vengono a portarmi le loro storie. Io le ascolto come fanno i bambini con le zie (quelle buone, non quelle acide) e le chiudo in barattoli di vetro, di quelli con le ceste di frutta stampigliate sul tappo. Naturalmente scelgo le dimensioni del barattolo in funzione delle dimensioni della storia che dovrà contenere, perché nessuna di loro ci stia troppo sacrificata.
Poi succede, ogni tanto, che qualche persona oltre ad una storia mi chieda un parere. E io che faccio? Ci penso un attimo, ragiono sulla storia, ne trovo una simile e la prendo come esempio. Spesso le storie si somigliano, e mi piace pensare che magari l'esperienza di una persona possa essere d'aiuto ad un'altra, anche se queste persone non si conoscono,
La storia che mi è entrata oggi è una storia dolorosa. Una storia che mi è stata consegnata da una vecchia amica e che ho subito riconosciuto: ne avevo una simile in bottega, ma nel retro. Fra le mie.
Ho riaperto il barattolo in cui tenevo il racconto del tentativo di suicidio di Erminia, afferrandolo con forza. Ho ripercorso quei momenti, quei dialoghi, quella sensazione di una situazione più grande di me. E di chiunque altro.
Ho ricordato cosa significa affacciarsi sul buio di un'anima inquieta, su una storia di vita sconosciuta e drammatica, gettare lo sguardo su un'oscurità così profonda da lasciarmi incantato.
Mi sono ricordato di non aver mai avuto il coraggio di affrontare quella lettera. Quella lettera chiusa in una busta lasciata sulla scrivania deserta e indirizzata al figlio che non poteva capire.
Ricordo di averla tenuta in mano per giorni, indeciso se portarla allo psichiatra, al figlio o semplicemente leggerla e provare a capire. Ma provare a capire cosa? Nascosto alla meglio fra probabili parole d'affetto nei confronti di quel ragazzo acerbo e ricordi di giovinezza, fra amori perduti e rimpianti, ho sempre saputo quale fosse il contenuto di quella busta: l'orrore.
Ecco sì, ora posso dirlo. Il motivo per cui non l'ho mai aperta è che ne avevo paura. Paura di un pezzo di carta. Ero perfettamente consapevole che quella lettera era il varco verso l'abisso, che leggerla avrebbe significato entrare in contatto con il lato più intimo e oscuro dell'animo umano, quel lato neppure sfiorato dal sole della voglia di vivere né dal suo riverbero: l'istinto di sopravvivenza.
Ho avuto paura di non riuscire a sostenere quella lettura. Ho avuto paura di perdere l'equilibrio.

Auguro alla mia carissima amica di mantenere l'equilibrio necessario, anche quando sembra impossibile. Di stare vicino a chi soffre senza lasciarsi schiacciare dalla sofferenza: a volte il distacco è l'unica via per non precipitare tutti. Ci vuole coraggio, ma in fondo è la vita.
E in cuor mio, so che ce la farà.
So che saprà essere il raggio di luce sopra l'abisso.

1 commento:

fabilunablu ha detto...

I viandanti vanno e tornano..
perchè ci sono luoghi che sentiranno per sempre familiari.
f.