martedì 29 maggio 2007

Il pastore tedesco


Io ho un brutto difetto: non riesco a dire di no.
- Ben, lo fai tu il gruppo dei ciechi dopodomani?
- Ciechi? Nel senso di cecoslovacchi?
- No no… ciechi proprio… dell’Unione Italiana Ciechi…
- Ciechi?? E che diavolo gli dico?
- E che ne so? Se te la senti…

Altro difetto: non bisogna mai dirmi “se te la senti”… l’inebriante profumo della sfida è una sirena che non so evitare…
- Certo che me la sento! Dai, me lo faccio io ‘sto gruppo.
- Ok, bene. Guarda, sono già venuti altre volte… si muovono lentamente ma l’importante è che stai attento a non usare i verbi vedere, guardare, osservare e via dicendo…

Beh, stavolta ho osato tanto, probabilmente troppo. Me ne sono reso conto nel trovarmi all’interno della chiesa inferiore, completamente circondato da ciechi e dipinti del duecento. E senza il verbo vedere. Ho pensato: “massì, in fondo è come se scrivessi per la mia bottega… anche le mie clienti sono cieche di fronte ai miei racconti… l’importante è cercare di trasmettere col cuore tutta questa bellezza …”
Mi sbagliavo. Perchè la media dei non vedenti (di quel gruppo, ovviamente) non possiede la sensibilità delle mie clienti, anzi… l’ho capito quando una signora non vedente mi si è messa sotto braccio per farsi condurre.

- Li mortacci loro… ‘sti ciechi del cazzo… ma guarda come vanno piano! Che palle… so’ proprio lenti ‘sti cazzo de ciechi… vada avanti! Non li aspetti: se vojono sentì se sbrigheno…
Me lo ha ripetuto per tutto il pomeriggio… in continuazione…
Tutti i miei sforzi di trasmettere il senso e la bellezza dei dipinti è andata a farsi friggere. Nonostante abbia evitato il verbo vedere.

Al secondo monastero qualcosa è cambiato. In mezzo a questa colorita e indisciplinata folla una sola ragazza, un’accompagnatrice, dai capelli mori e dal sorriso luminoso. Giovane, vestita di azzurro. Mi ha sollevato più di una volta con la complicità del suo sguardo chiaro.
I miei discorsi si sono nutriti di quel sorriso. Hanno fatto del suo sorgere un costante obiettivo.

Grazie a quel sorriso ho iniziato a pensare meno, a parlare più con il mio pubblico che per il mio pubblico. Debbo a quel sorriso i ringraziamenti del gruppo.

Ho terminato il turno riprendendomi il braccio che la signora non voleva più restituirmi. Ormai ero così naturale che parlavo dei Beatles con lei, fan della prima (primissima, probabilmente) ora.
- Signora sa che proprio oggi stavo ascoltando un l’album di un’orchestra sinfonica che interpreta i Beatles?
- Ma va! No, guardi, i migliori album restano quelli degli anni sessanta… (canticchia Yellow Submarine)
- Ha ragione, io preferisco quello… come si chiama…
- Sergent Pepper?
- No…
- Please please me?
- No no… quello con la copertina… quello con i quattro in copertina che attraversano la strada…
Tace.
Ah già… forse sono stato troppo naturale…
- Abbey road!
Esclamo.
- Ha ragione, è bellissimo…

lunedì 21 maggio 2007

Un tagliere

Ieri sera un tagliere.
Un tagliere di legno. Circolare, massiccio.
È rotolato dall’alto, dalla sua abituale posizione verticale, proprio nel momento in cui ero fermo davanti a lui. E mi ha colpito così bene, ma così bene da spezzare esattamente in due parti uguali i miei occhiali.
Sono cose che fanno riflettere.
In realtà sono cose che prima di farti riflettere ti fanno tirare una serie di porchissimigiudacaneladrobavoso lunga quanto la preghiera serale di un muezzin. Però poi rifletti.
Perché mi ero affezionato a quegli occhiali più di quanto pensassi. Mi hanno permesso di assistere agli ultimi quattro epici anni della mia vita. Tutti raccolti in una serie pressoché illimitata di solchi che attraversavano le lenti manco fossero campi di patate. Roba che se osservavo ogni punto luce mi pareva una stella enorme.
Eppure ora giacciono inermi sulla mia scrivania.
Fa riflettere.

Fa riflettere la coincidenza. Ieri sera. Alle 21.15 circa. Mi trovavo esattamente sotto quel tagliere per gettare nel secchio della spazzatura un tovagliolo. In quell’esatto momento, probabilmente a causa del sordo rumore, ho alzato il capo nell’esatta inclinazione necessaria perché il cerchio di faggio colpisse il ponticello dei miei occhiali blu. Un grado meno e mi avrebbe preso in piena fronte. Un grado in più e mi avrebbe colpito in bocca.
Dio c’è. E c’ha pure una gran mira.

Fa riflettere l’ironia della sorte, la sua beffardaggine. Da una settimana sto fotografando il campionario di un mio amico. Che c’ha la fabbrichétta. 400 paia di occhiali da vista. Quasi mille foto.
Così ora mi ritrovo senza i miei occhiali sommerso da quattro centinaia di occhiali da vista di ogni foggia che riposano in vellutati campionari. Privi di lenti graduate. Privi di qualsiasi ambizione di vita. Inutilmente nuovi.

Oggi ho iniziato le riprese. Con delle tristissime lenti a contatto.
«Fanno risaltare i tuoi occhi!»
Dicono.
Frega un cazzo.

Ero affezionato ai miei occhiali.
Blu.

martedì 15 maggio 2007

Postilla

Domani è il primo giorno di riprese. Ho preparato tutto, dalla videocamera al cavalletto, dal microfono sull'asta ai pannelli riflettenti.
Alle ore 22.30 Giovanni, uno dei protagonisti, mi chiama dal pronto soccorso: gli stanno ingessando l'indice della mano destra.

Cominciamo bene.

Diario di bordo - Num.1

Giovanni verrà bocciato, pare. Ma lui l'ha presa con molto fair-play. In fondo classe sua è piena di ripetenti e magari riuscirà anche ad allargare il mercato dell'erba che spaccia.

Marianna ieri aveva il mal di testa. Mi ha spiegato che è dovuto al malocchio che le è stato fatto da qualcuno e che ha un appuntamento con suo zio per farselo togliere. Pare che suo zio sia un gran curatore di malocchio a colpi di olio e sale. Ma in che anno vivono al suo paese?

Nicoletta mi ha fermato per strada e confidato la sua nascente relazione con un ragazzo molto più grande di lei. L'ho messa in guardia e le ho raccomandato di farsi rispettare e di stare attenta a non farsi prendere in giro. Il suo rossore e il suo sorriso mi preoccupano un po'.

Michele si è slogato una caviglia e quindi non prenderà parte alla gara di carriole che effettueremo per una scena. Si, lo so. Le bighe erano terminate. E poi c'aveva l'esclusiva Charlton Heston.

Miriam mi ha mostrato orgogliosa una foto che aveva nel portafoglio. "Guarda quant'è bello l'amore mio!" mi ha detto. Pensavo si trattasse del suo fidanzato. Era Che Guevara. Mi ha fatto tenerezza.

Federico si è incazzato a morte perché non volevo scrivere una scena come la voleva lui. Abbiamo discusso per dieci minuti. Ma non era cattiveria la mia: il problema è che non capivo neppure la metà della sua idea. Peraltro ottima, e dunque adottata.

Ho chiesto a Piero di comporre con la sua band musiche originali per il corto. Lui è entusiasta, io preoccupato. È un fanatico dell'Heavy Metal…

Mario viene preso in giro continuamente da Mara perché è vergine. Lui incassa con molto savoir-faire. Secondo me Mara è un pochino innamorata di lui.

Mi fermano per strada i ragazzi dell'anno scorso. Molti mi raccontano cosa fanno, altri no. Mi fermano anche ragazzi che non c'entrano niente e che vorrebbero partecipare lo stesso. Alcuni gruppetti tacciono al mio passaggio.

Il paese è piccolo, la gente mormora.
Ma i ragazzi si stanno muovendo. Decine di ragazzi stanno creando.

Sono stanco, soddisfatto e preoccupato.
Che il vento ci assista.


Benjamin

sabato 5 maggio 2007

Tris d’assi…

Tris di piccole soddisfazioni settimanali: un concerto di Stefano Bollani che riecheggia ancora nelle pareti del mio cuore, una piacevole intervista fatta dal sottoscritto (!) ad un cantante libero e onesto: Graziano Romani (molto bravo ed estremamente cordiale) e infine "The costant Gardner", film di cui parlerò prossimamente.

È un brevissimo post per raccontare tre giorni di nutrimento artistico, avevo veramente molta sete. Forse è per questo che oggi i ragazzi del progetto movie mi hanno trovato un po' più in forma (e la sensazione è stata ricambiata, iniziamo a ingranare con qualcuno…). Si va avanti. Si va avanti.