Il pastore tedesco
Io ho un brutto difetto: non riesco a dire di no.
- Ben, lo fai tu il gruppo dei ciechi dopodomani?
- Ciechi? Nel senso di cecoslovacchi?
- No no… ciechi proprio… dell’Unione Italiana Ciechi…
- Ciechi?? E che diavolo gli dico?
- E che ne so? Se te la senti…
Altro difetto: non bisogna mai dirmi “se te la senti”… l’inebriante profumo della sfida è una sirena che non so evitare…
- Certo che me la sento! Dai, me lo faccio io ‘sto gruppo.
- Ok, bene. Guarda, sono già venuti altre volte… si muovono lentamente ma l’importante è che stai attento a non usare i verbi vedere, guardare, osservare e via dicendo…
Beh, stavolta ho osato tanto, probabilmente troppo. Me ne sono reso conto nel trovarmi all’interno della chiesa inferiore, completamente circondato da ciechi e dipinti del duecento. E senza il verbo vedere. Ho pensato: “massì, in fondo è come se scrivessi per la mia bottega… anche le mie clienti sono cieche di fronte ai miei racconti… l’importante è cercare di trasmettere col cuore tutta questa bellezza …”
Mi sbagliavo. Perchè la media dei non vedenti (di quel gruppo, ovviamente) non possiede la sensibilità delle mie clienti, anzi… l’ho capito quando una signora non vedente mi si è messa sotto braccio per farsi condurre.
- Li mortacci loro… ‘sti ciechi del cazzo… ma guarda come vanno piano! Che palle… so’ proprio lenti ‘sti cazzo de ciechi… vada avanti! Non li aspetti: se vojono sentì se sbrigheno…
Me lo ha ripetuto per tutto il pomeriggio… in continuazione…
Tutti i miei sforzi di trasmettere il senso e la bellezza dei dipinti è andata a farsi friggere. Nonostante abbia evitato il verbo vedere.
Al secondo monastero qualcosa è cambiato. In mezzo a questa colorita e indisciplinata folla una sola ragazza, un’accompagnatrice, dai capelli mori e dal sorriso luminoso. Giovane, vestita di azzurro. Mi ha sollevato più di una volta con la complicità del suo sguardo chiaro.
I miei discorsi si sono nutriti di quel sorriso. Hanno fatto del suo sorgere un costante obiettivo.
Grazie a quel sorriso ho iniziato a pensare meno, a parlare più con il mio pubblico che per il mio pubblico. Debbo a quel sorriso i ringraziamenti del gruppo.
Ho terminato il turno riprendendomi il braccio che la signora non voleva più restituirmi. Ormai ero così naturale che parlavo dei Beatles con lei, fan della prima (primissima, probabilmente) ora.
- Signora sa che proprio oggi stavo ascoltando un l’album di un’orchestra sinfonica che interpreta i Beatles?
- Ma va! No, guardi, i migliori album restano quelli degli anni sessanta… (canticchia Yellow Submarine)
- Ha ragione, io preferisco quello… come si chiama…
- Sergent Pepper?
- No…
- Please please me?
- No no… quello con la copertina… quello con i quattro in copertina che attraversano la strada…
Tace.
Ah già… forse sono stato troppo naturale…
- Abbey road!
Esclamo.
- Ha ragione, è bellissimo…