lunedì 10 marzo 2008

La macchinetta

La luce del primo pomeriggio romano entra timida dalla finestra di alluminio. L’infermiere ha gli occhiali calati sul naso e il corpo calato sulla poltrona. È ora di pranzo, la sua collega ha fame.

- Signor signor…

- Ranci.

- Benissimo. Ecco qua. Signor Ranci di Colle Orsini. Firmi queste carte, ora vi spiego come funziona la macchinetta.

Sul tavolo una dozzina di macchinette viola e bianche. Al di qua della barricata io e Marco. Io e Marco ci conosciamo da quando siamo nati: stessa età, stesso palazzo, stesse scuole fino al liceo.
Suo padre sta morendo.

- Allora: questo è l’apparecchio. Lo devi aprì così. Poi ce metti dentro il tubbicino della flebo così, come un cappio. Poi lo richiudi e je fai fa’ er fill. Quando è pronto fa un bippe e je puoi da’ er via. Capito tutto? Bene, rifallo.

Marco sorride, prende l’apparecchio, ripete le operazioni. Semplice. Mi guarda sorridendo e dice “semplice, no?”. “Semplice”, faccio io. Entra la dottoressa e avrà la nostra età. Fa un po’ impressione scoprire che le dottoresse del Policlinico hanno pressappoco la nostra età. Sorride poco, è molto professionale e stanca.

- Vi hanno spiegato come funziona?

- Si

- Bene, questo è lo schema della nutrizione. C’è scritto quanto dovete dare a vostro padre giorno per giorno.

A quel “vostro padre” ci lanciamo un’occhiata sorridendo. Nessuno dei due ha il coraggio di dire alla dottoressa che non siamo parenti. Penso anche che non gliene importi un granché. Ad un certo punto però lei spiega le cose più a me che a Marco e io mi sento un po’ in imbarazzo. Mi fa domande a cui non so rispondere. Alla fine ci congeda con un sorriso e una stretta di mano professionale. E stanca.
Per le scale inizio a chiamarlo “fratello”. Ci ridiamo un po’ su. Poi usciamo e tutto il resto è Roma.

- Ben, non ho voglia di tornare. Portame in giro pe’ Roma. Erano anni che non ce venivo.

- Te l’avevo detto io di prendere l’università… non m’hai voluto dar retta…

- C’avevi raggione. Guarda quante ragazze…

- Beh dai, non è mai troppo tardi

Sorride.
Sorrido.
Entriamo in macchina.
Il paese aspetta il nostro ritorno.

5 commenti:

fabilunablu ha detto...

mi piace sempre un sacco assaporare le tue storie. brevi. semplici ma così intense.
grazie ben!
bacio
f.

Benjamin Brown ha detto...

Grazie mille per l'apprezzamento! Ne sono molto contento perchè i tuoi aggettivi hanno colto quello che perseguo da tanto: storie semplici ma intense.
Come la vita.

Cercherò di non farne mancare in bottega... :)
Ben

aracK ha detto...

sì, e poi m'immagino questo ritorno in un paese di campagna nell'entroterra con la primavera che sfonda...

Benjamin Brown ha detto...

In effetti c'è stato il ritorno al paese di campagna in cui vivo con la primavera in esplosione. E che dimostra come persino la primavera può dimostrarsi feroce quando fiorisce in faccia alla malinconia profonda del mio amico... panta rei...

Anonimo ha detto...
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