sabato 22 dicembre 2007

E così viene Natale, anche stavolta...

In partenza per la natia Lucca (e per le ineluttabili tombolate) vi lascio con un caloroso augurio di buon Natale, cogliendo l'occasione per annunciare l'apertura della filiale parigina della mia bottega. La trovate un paio di incroci prima dell'Hotel de Ville...
Doveste sentirvi soli, nella capitale parigina, sappiate che troverete sempre una porta pronta ad accogliervi... ;)

domenica 16 dicembre 2007

Muore lentamente

Poiché non tutto muore, grazie alle mie amiche archeologhe, la botola è stata riaperta.

Sono tornato ad inventariare le voci di quei prigionieri con monaci e architetti che iniziano ad essere intrigati dalle mie tesi sulla possibile esistenza di altri locali simili.

I curatori del museo ci hanno chiesto di redigere un pannello che spieghi la nostra scoperta e che diventerà parte integrante del futuro museo della stampa.

Ci daremo da fare.

Ma un dubbio resta.

Se i miei capi si ostinano a non volersi assumere la gestione del maniero, a cosa servirà un pannello in un museo chiuso al pubblico?
Fa rumore un albero che cade nella foresta incontaminata?

Rabbia.
Perché tutto muore.

domenica 9 dicembre 2007

Breve ritratto di Fabi in Do Mag

Un prosecco e un caffè seduti al tavolino di un bar romano.
Fuori piove senza scampo su un magma di veicoli.

Parole che scorrono serrate e ingorde per divorare quel poco tempo che abbiamo a disposizione.
Le parole scorrono e si trascinano dietro la vita, la passione, l’amore, la morte, il teatro, la letteratura… Dopo un’ora e mezza di chiacchierata con Fabiluna l’impressione è che le cose non si trovino più nello stesso punto in cui le avevo lasciate. Avete presente quegli uragani che si vedono in America? Quelli che ti fanno ritrovare il salotto della casa texana in Arkansas? Ecco, quando si incrocia il volo della libellula dal cuore di fenice succede qualcosa del genere.
Fabi non è mai completamente condivisibile ma è energia allo stato puro. E non si può restare indifferenti di fronte alla sua forza, alla sua decisione. Raramente ho visto qualcosa di simile.

Spero di incrociare presto il tuo volo, Fabiluna. Ho un mucchietto di cose su cui mi piacerebbe confrontarmi con te. Ma la prossima volta esigo più tempo. E più forza, da parte mia... come avrai notato mi hai beccato in un momento poco felice.
Ma non sei l’unica fenice...

Chapeau,
Ben

mercoledì 5 dicembre 2007

Cuore fragile: maneggiare con cautela


Mi siedo, poggio la tesa e ho subito la luce davanti agli occhi.

- Mi chiedevo se…

Apro la bocca. Sento l’ago entrare nelle gengive, la sua corsa sembra non finire mai.

- Se?

Ho perso la sensibilità di metà faccia. Credo che un pugile provi una sensazione simile dopo un diretto.

- Oddio lo sapevo! Non riesco a… uffa! Son sempre la solita!

Non riesco a vedere i ferri che entrano nella mia bocca ma la processione è molto sentita.

- Stai tranquilla e dimmi quello che devi dirmi.

Il dottore parla a mezza bocca con la sua assistente. Complottano.

- No… è che… e se noi… beh, e se fosse qualcosa di più di un’amicizia?

Percepisco la morsa di una pinza che afferra il dente. Il manico della pinza deforma il mio volto.

- Beh, come dire… aspetta, ragioniamo. Ci sono almeno dieci motivi per cui non si può…

Da fuori mi immagino simile al Joker.

Che poi alla fine son solo due… dunque, come dire… eh, mica è facile…

Nella mia bocca nel frattempo c’è più traffico che a Porta Pia.

Innanzitutto viviamo due fasi della vita troppo differenti… (segue serie di banalità)

Lattice, ferro, sangue e acqua si alternano febbrilmente senza pause. La lampada mi osserva.

E poi io non sono fatto per la coppia… (segue altra serie di banalità). Mi capisci?

Alla fine è un colpo secco.

- S-si… certo…

Il dente mi osserva dal piattino.

I suoi occhi lucidi mi osservano nell’oscurità.


Mi vergogno molto. Sono tornato a casa sapendo con certezza di aver fatto la cosa giusta, di aver detto le parole eticamente più corrette del mondo. Non si devono illudere le ragazzine.
Eppure mi sento una merda.
Perché invece di partecipare alla sua sofferenza sono stato invaso da un senso di pace. Come se la mia coscienza tornata alla limpidezza fosse l’unica cosa che conta. Ho detto una serie di verità ineccepibili con il tono di lattice che avrebbe usato il mio dentista.

Probabilmente qui sta la differenza fra un adulto e uno no. Per la prima volta in vita mia, pensando a Saint-Exupery, mi sono accorto di essere io l’adulto che non ricorda di essere stato bambino.

Sto invecchiando. Male, per giunta.


Questa sera, piccola, ti auguro di conservare il più a lungo possibile il tuo incanto.

Questa sera, piccola, ti auguro di trovare il ragazzo che moltiplicherà i tuoi sogni.

Questa sera ti auguro, piccola, che la disillusione non si accorga mai di te.

Questa sera ti auguro di non diventare mai me.


Con sincero affetto,

Ben

sabato 1 dicembre 2007

Let it snow...

- Lo sai che c’è? Che è l’unica persona in questo paese a cui posso dire: “ascolta questo brano: c’è tutto dentro. C’è il sentimento d’amore che sconfigge il sentimento di morte, c’è l’amore per la propria compagna, per la musica, per la terra… c’è tutto.” E lei sembra capire… poi magari sono io che mi illudo…
- Sai perché succede questo?
- Perché?
- Perché sei sempre il solito mezzo finocchio, Ben.
- Ma va a cagare…
- Per questo andiamo d’accordo noi due. Perché io invece sono una mezza bestia.
- No, tu sei uno stronzo. Perché fingi di schifare i tuoi sentimenti. Per questo non hai una ragazza.
- Ma va a cagare, io non ce li ho...
- Ma cosa? Vuoi che ti ricordi quanta poesia producevi per Tiziana?
- I colpi bassi non valgono...

Intanto nevica. E io guido nella notte. I riscaldamenti della macchina fanno il loro.

- Io comunque non vedo il problema. Scusa, ti trovi bene a parlare con lei? E allora che problemi ti fai?
- Beh, se per te dieci anni di differenza non sono un problema… per me si.
- Non dico che non lo siano. Però sei tu che dici che certe cose le puoi dire solo a lei o nel blog…
- È la verità. Sarò impazzito ma è così. Secondo me è demenza senile.
- A proposito…
- Che?
- Il blog…
- Non ti inventare un cazzo.
- E dai! Ma sei un bastardo davvero! Dimmi come si chiama! Almeno un indizio!
- Neanche se mi ammazzi. Il blog me lo porto nella tomba.
- Che pezzo di merda…
- Ma poi a te che te ne frega? Figurati se lo faccio leggere a una mezza bestia…
- Va a cagare, mezzo finocchio.
- Precedimi.

Una volpe ci attraversa la strada e ci accompagna per qualche metro. Poi si gira, scuote la testa e s’infratta. Poco dopo il piazzale ci appare dal buio, appeso a quattro lampioni ambrati. La neve lo ha appena colorato.
Freno a mano. Freno a mano. Freno a mano.
Saranno stati anni che non scrivevo sulla neve.

- Mi ci voleva qualcosa che mi ricordasse che non siamo du’ vecchi.
- Sai che ci voleva invece?
- Sigaro?
- Sigaro.
- Porco giuda me li scordo sempre.
- Sei proprio rincojonito Ben…
- Te l’ho detto… è l’età…
- No, tranquillo. Sempre stato.
- Che ci vuoi fa’… a chi la demenza, a chi l’impotenza.
- Allora perché te sei preso tutto tu? Cazzo, sei proprio sfigato…

Ci mandiamo a cagare, stavolta senza dirlo.
Però stanotte, fra la notte e la neve, un toscano ci voleva proprio.

giovedì 22 novembre 2007

Storie di bottega


A Lucca, in via del giardino botanico, proprio di fronte alla scuola elementare, c’era una bottega molto piccola, un fruttivendolo. Dentro la bottega, dentro un camice bianco e dietro un paio di occhiali di osso marroni c’era Pietrino. Il fruttivendolo, appunto.
E dentro la bottega di Pietrino c’era sempre un mucchio di donne e vecchiette che voleva sapere se quelle albicocche erano veramente saporite. Credo che Pietrino amasse il proprio lavoro più d’ogni cosa.
Raccontava la bontà dei propri finocchi e il sapore delle sue susine come si trattasse di una poesia. Quando poteva le faceva assaggiare ridendo. E aveva una voce forte, musicale, toscana. Guardandolo si poteva pensare che quell’ometto col riportino grigio e il naso perennemente rosso fosse sempre felice.

A me, “il romanino” come mi chiamava lui, regalava sempre le noccioline americane.

Accomodatevi con me in bottega, oggi. Ho preparato vin brulè e biscotti allo zenzero per tutti. Perché oggi la mia bottega compie un anno, un anno che ha riempito gli scaffali di parole mie e vostre.
Le mie ve le offro, ridendo dietro i miei occhiali.
Delle vostre non posso che ringraziarvi sinceramente: questa bottega, come quella di Pietrino, esiste grazie a chi ha ancora voglia di ascoltare una storia, di condividere un pezzo di strada.
O di assaggiare un’albicocca.

Col profumo di mela e cannella nell’aria,
Benjamin

domenica 11 novembre 2007

Si sarà allargata la cruna dell'ago?

- Ohi Ben, puoi venire un attimo in sacrestia?
- Certo. Dimmi tutto Don Virgì…
- Allora cosa mi hai portato di buono?
- Quello che mi avevi chiesto: La guerra dei mondi e Poseidon
- Ah! Grande Ben… Sai ora cosa mi dovresti rimediare?
- No
- Spiderman 3! No perché il primo e il secondo li ho già visti tu li hai visti?Se non li hai visti vedili hanno degli effetti speciali fantastici costati un fantabillione di miliardi di dollari! E King kong l’hai visto? DEVI vederlo! Te lo presto io, ce l’ho in dvd…
- Ehm… veramente non è proprio il mio genere…
- Si ma questo lo DEVI vedere! Ci sono gli effetti speciali che sembra di stare lì, fra il tirannosauro e il gorilla… e… e… e poi niente, c’è una lotta fra i due spettacolare, dura due ore e mezza ma. Veramente. Devi assolutamente vederlo.

Parla con l’entusiasmo (e l'incoscienza) di un ragazzino di dodici anni Don Virgilio. Pur essendo un monaco di quarantacinque anni.

- Però mi raccomando sempre: solo a me (gesto con le mani). Solo a me li devi dare… a nessun altro monaco. Mi hai finito di scaricare Tomb Raider?
- No, non ancora…
- Ah… vabbè… ecco, ti ripeto, dalli solo a me. Ah, sai cosa è successo oggi?
- No
- È venuto uno, un signore un po’ anziano… con un’aria triste… mi fa:“è possibile far dire una messa?” “Certo - gli faccio io - Ha qualche richiesta per la data?” “No - mi fa - sarebbe per una persona ancora in vita, va bene qualsiasi data”. E sai allora cosa ha fatto? Sbam! Mi ha messo sul tavolo DUECENTO EURO!!! Duecento, capisci?

Penso a quanto deve essere disperata una persona per provare a “pagare” il padreterno. Magari stava perdendo qualcuno, magari comprava una messa perché era troppo stanco anche per pregare. Ho provato molta pena per quella figura.

Don Virgilio no.

- 200 €… Non riuscivo a crederci. Mi ha fatto lui un cenno perché prendessi i soldi, figurati! Quella deve essere gente con tanti di quei soldi che… umpf… figurati quanti ne spenderà a cose normali! Se ti capitava di fare la guida a questo minimo minimo ti lasciava 50€, eh?

Ride, cerca la mia complicità ma non la trova. Non gliene frega una mazza: ha i film nuovi.

- Ok devo proprio andare adesso. Non avete i vespri a quest'ora?
- Si, hai ragione. Oh, quando torni fammelo sapere che ti preparo un barattolo del nostro miele…
- Troppo buono, Don Virgì, troppo buono…

martedì 6 novembre 2007

Il post fantasma

Di solito quando scendo in bottega è per un motivo preciso. Condividere un emozione, una scoperta o anche una frustrazione. Alle volte me ne pento.
Di solito mi pento di aver scritto cose troppo retoriche o… non saprei dire… troppo “eh ke cazzo la società cell’ha proprio con me!”.
E allora li cancello.

No Sosò, il condannato è rimasto condannato… ho passato 3 giorni di vero inferno in cui non riuscivo a capacitarmi dell’incubo in cui sono piombato. Ho scoperto (e mi sono spaventato) quanto sia ancora sostanzialmente fragile se si sa dove colpirmi. E mi trovo nella brutta situazione di non sapere di chi fidarmi.
Pensavo di essere più forte, lo ammetto.

Come sto guarendo?
Ve lo dico io:

  • Brindando con gli amici di una vita alla salute di chi ci vuole male.
  • Scoprendo una famiglia unita nello sdegno (ho dovuto placare le ire del pischello che già meditava feroci vendette…).
  • Scorrendo le pagine e i commenti in bottega. Per scoprire che le mie e-friends, pur non conoscendo molto di me, sanno chi sono meglio di chi si dichiarava mia fidata collega e amica. (E scoprendo che finalmente incrocerò il volo di Fafà!)
  • Ricordandomi con un sms quanto basta poco per essere sereni. Arianna, 17 anni, spettatrice silenziosa di tutta la mia triste vicenda, mi ha mandato un sms ieri pomeriggio.

«Nn m prendere x matta ma t prego guarda ke bel tramonto!...violetto!!!...sn scema,lo so!ma è trp bello!»

Così, davanti alle nuvole violette, sorridendo si è dissolto l’incubo.
Grazie a tutti voi. Di cuore.

mercoledì 31 ottobre 2007

Il mio credo

La vita è un’opera buffa. Alcuni ragazzi del progetto movie si sono riorganizzati e mi hanno chiesto di guidarli ancora verso una nuova rotta. Si sono aggiunti nuovi marinai, fra cui un timoniere che mi pare sveglio (dice di aver già scritto e pubblicato un romanzo a 18 anni…mah…). Altri ultimamente mi hanno raccontato quello che fanno. Qualcuno mi ha raccontato delle mille ragazze possedute e altre dei lavoretti estivi. Qualcuno si droga. Non canne, coca. A diciassette anni.
Ho chiesto anche a loro di ripartire con noi. Di sostituire per un po’ la roba con il “cinema”.

Questa volta parto (o almeno spero!) senza vincoli né bandiere. Niente politicanti e niente assistenti sociali. Niente soldi per me e niente premi per loro. Io e i ragazzi, che sono molti più di prima. La mia videocamera e le loro idee. E soprattutto la fiducia e la speranza di riuscire a enfatizzare i loro talenti, di qualunque natura siano.

L’altra notte, mentre tornavo a casa in macchina, ho avuto un lampo nella testa. Mi sono reso conto che questa potrebbe essere la mia vocazione. Una scuola, laica e apolitica, multidisciplinare e gratuita, in cui si ascoltano i ragazzi. In cui si dà loro fiducia. In cui magari si possa dar luce alle loro passioni.
Perché il loro mondo non finisca in una bottiglia di Jack con contorno di coca già dai sedici anni, come qualcuno mi ha raccontato...

lunedì 22 ottobre 2007

Stupido idiota di un architetto...

Rapido aggiornamento di una delle storie buffe offerte dal qui presente bottegaio: ricordate (si, lo so, è una domanda retorica) la stanza ritrovata in una botola del castello, quella con le iscrizioni dei prigionieri del ‘600?
Bene, ho l’epilogo.
Dopo aver affrontato settimane di discussioni una mia amica laureata in archeologia ha ottenuto il permesso di studiare quelle iscrizioni e quei disegni, e mi ha chiesto di accompagnarla per fare l’inventario fotografico. Beh, vi avevo detto che la botola era all’interno del cantiere di un futuro museo, vero? Ecco.

Provate ad immaginare la mia espressione davanti alla famosa botola che oggi giace perfettamente sigillata da una gittata di cemento.

Alcuni mi hanno criticato per quella scoperta “poco scientifica”. Ad altri ho dovuto chiedere scusa. “Ben, questa te l’ho fatta passare come una ragazzata”.
Se non avessi fatto quella “ragazzata” nessuno al mondo avrebbe mai conosciuto il segreto di quella stanza.
E comunque sono stato l’ultimo uomo a conoscere il dolore e la paura di quei carcerati.
L’ultimo a conoscere il segreto di una stanza che riposa nel suo oscuro silenzio.
Da oggi e per sempre.

Requiem aeterna.

martedì 16 ottobre 2007

Frame n°4


Nella metro parigina resto impigliato nelle ciglia blu di una signora.
Si muovono al ritmo degli occhi voraci
che percorrono le pagine di un catalogo di vini stanco
di narrarle le magie delle novelle uve di borgogna.

Frame n°3



Una delle cose che vorrei spiegare
è lo stupore
nascosto nelle rampe notturne di Montmartre.
Nascosto in un’arena colma di ragazzi tres française.
Nascosto nella voce incantevole di una giovane bambola
e delle note che state ascoltando…

domenica 14 ottobre 2007

La vita, la morte, la politica, l'amore, la storia, ...


S
olo due righe. Solo due righe per raccomandarvi un film che ho appena finito di rivedere.
Perché sono in grado di chiamare per nome tutti i film che mi fanno piangere, in effetti si contano sulle dita di una mano.
Trovate il modo di vedere, se non l'avete ancora fatto, "
Le invasioni barbariche" di Denys Arcand.

mercoledì 10 ottobre 2007

Frame n°2


Rue de la Bidassoa 50 è il nome di un palazzo del 1913.

Conoscendo la combinazione si può entrare in quel ventre

che sa di legno, curry, usura, cumino,

cigolii, zenzero e cannella. Di calore e colore.

Frame n°1


Nel quartiere di Belleville c’è un barbiere algerino.

In realtà ci sono almeno una dozzina di barbieri algerini.

Ma solo uno di essi possiede, sopra l’insegna, un bambino che soffia le sue bolle di sapone.

Sotto i panni stesi di quella finestra gli uomini discutono di cose da uomini.

mercoledì 3 ottobre 2007

Esmeralda e il Gobbo...


Mi sembrava il modo migliore per celebrare questa settimana, Bimbainda...

A presto,
Ben

Riaperto per ferie!

Uff, ho la bottega piena di roba ammucchiata… apro la porta e debbo farmi largo fra gli scatoloni. Qualcuno cade in un tonfo sordo. Altri restano in bilico, indecisi sul da farsi.
Allora facciamo ordine: in questo scatolone... Ah, si! Qui ci avevo lasciato la serata finale del progetto movie… la proiezione dei cortometraggi in piazza e l’entusiasmo dei ragazzi che per la prima volta si vedevano recitare. In mezzo al polistirolo l’emozione del salire sul palco acclamato dai ragazzi come una star (fortunata). Sotto i riflettori l’orgoglio con cui li ho ringraziati e con il quale li ho esortati a non smettere mai di avere cose da dire…
Lo scatolone poggia su uno molto molto grosso. Che Ainda conosce molto molto bene.
Parigi e le strade di Francia.
Chi come me è convinto che la meta del viaggio sia il viaggio stesso, capirà il motivo per cui siamo andati a Parigi in macchina. Abbiamo tagliato la Francia come un coltello, in verticale, prima di piantare la lama nel corpo più vivo di Parigi, quella Belleville calderone di etnie e religioni che da un paio di settimane ospita anche la nostra Ainda. Coraggio Bimba. Ricorda sempre che la vita appartiene solo a te e che l’unico modo per non averne paura e salire sul cassero e prenderne saldamente il timone.
Alla mia destra gli ultimi tre pacchetti. Sono piuttosto piccoli e contengono gli ultimi folli giorni della mia odissea, quelli da Ainda in poi per intenderci.
Nel primo c’è un viaggio di ritorno in solitario che ha dell’epico. Esagero? Provate voi a trovarvi su un valico alpino chiuso, completamente solo in mezzo ad un gregge di pecore mentre infuria una bufera di neve… per fortuna queste cose mi esaltano…
Nel secondo c’è l’arrivo a Verona, da amici dottorandi. Ci sono passeggiate notturne e diurne per la città, spritz (che non reggo) prima di cena e costole di balena che non cadono al mio passaggio. Ci sono anche ragazzi che non conoscevo e che vengono dal Portogallo e da Asti e che avrebbero molto da raccontare… se solo avessi la forza di sostenere le loro parole dopo il viaggio!
Ultima scatola: Lucca. Lucca che mi accoglie nel suo ventre materno. Lucca che deve aiutarmi a salvare una casa antica. Lucca della memoria e Lucca del cuore. Perché alla fine si torna sempre in seno a quelle mura.

Ok. Diciamo che una organizzata alla faccenda l’ho data. E magari anche una spiegazione alla mia latitanza. Dopo 3.484 chilometri percorsi sono di nuovo davanti al mio computer. No, in realtà sono davanti ad un altro pc perché in mia assenza mio fratello ha avuto la brillante idea di distruggere il mio… Comunque sono a casa. Con la testa che gira perché – come si sarà notato – avrei un milione di chilometri, di facce, di sensazioni da raccontarvi. Devo solo capire come, senza annoiarvi.

E allora,
come dicono i parigini educati,

A bientot, mes amis!

martedì 11 settembre 2007

Indiana Jones & il bastione borgiano

RAGAZZI, IO ALLE CINQUE MI CALO NELLA BOTOLA. FATEMI SAPERE SE VOLETE PARTECIPARE. BACI AI PUPI, BEN.

IO E MICHELA CI SAREMO.

VI RAGGIUNGIAMO PIU’ TARDI, SIAMO DI TURNO

TI PREGO, NN ANDARE PRIMA DELLE CINQUE!! ROSICO TROPPO SE NON CI SONO!!! MARY


Ore 17.30 del 9 settembre 2007

Ieri pomeriggio ho notato nel cantiere all'interno del bastione una botola che non ricordavo di aver mai esplorato. L’ho aperta e ho fatto luce. Una stanza. Non si capiva quanto grande, non si capiva quanto profonda.
Ora siamo in dieci e stiamo allestendo scala e torce per scendere giù.


Ore 18.15

Per primo mi calo all’interno della botola. La scala trema, evidentemente poggia su terra smossa. Dentro è il buio più cupo che abbia mai visto. Illumino il fondo della stanza. Dannazione, non ha aperture. La delusione è immensa: la stanza ha una volta a botte ma non contiene assolutamente niente. A prima vista.

- Tutto bene Ben?

- Si. Ragazzi che rosicata! Non ci sono altri passaggi qua sotto!

- Ma cosa c’è?

- Niente! No, aspetta. Le pareti… è pieno di disegni ma non capisco se sono recenti. Ci sono nomi, firme…

- Se ci reggi la scala scendiamo!

Siamo in dieci dentro questa stanza, dieci sognatori alla ricerca di una sorpresa. Che arriva.

I disegni alle pareti sono opera di prigionieri della seconda metà del ‘600. Ritraggono i loro crimini, probabilmente, e poi galli e figure sacre. Un carro funebre. Qualche cranio stilizzato. Molte, molte firme. Iniziamo a leggere le iscrizioni murarie: incisa nei muri è la paura, la fame e la disperazione.

«SONO DIECI GIORNI CHE NON MANGIA»

«E’ MORTO DALLA FA ME»

« (…) 28 DI GIUNIO (…) FUI INCARCERATO PERCHE’ (…) SCANMPANE DI SBIRI (…) TRE DI CHE NON MAGNIA NIENTE (…)»


Dopo l’emozione il ragionamento. Questa stanza è un quarto delle fondamenta del bastione. Questo significa che ci sono gli altri tre quarti delle segrete sigillati probabilmente prima del ‘600. Questo significa che oltre la parete di fondo, ne sono certo, giace un’intera ala del castello sigillata dal ‘500. Che secondo i miei calcoli dovrebbe corrispondere alla base del trabocchetto che si vuole situato due piani sopra...

Mi sono beccato un po’ di cazziatone ma l’emozione è impagabile. Ho toccato con mano la disperazione di una cella di isolamento della seconda metà del ‘600. Mi sento estremamente fortunato, in attesa di ottenere il permesso per accedere alla parte sigillata...

giovedì 30 agosto 2007

Battiti al minuto

Colpi di coda estivi portano un riverberò di emozioni. Un anno è passato e mi innamoro ancora di chi non devo. Però dopo un anno esatto è bello riscoprire un cuore ancora in grado di cambiar ritmo nel vedere una nuova lei comparire alla porta.

Come sempre tutto è sbagliato ed è così perfetto.

A riportare ordine nei miei vuoti d’aria sentimentali un incipit scoperto l’altra sera, a casa d’amici.


Quando la parola si farà corpo
e il corpo aprirà la bocca
e pronuncerà la parola che l’ha creato,
abbraccerò questo corpo
e l’adagerò al mio fianco.
Hezi Leskli

giovedì 23 agosto 2007

Vita da dolls maker


(...)
Provate questa lente.
Abissi d'aria.
Ottima! E adesso?
Luce, soltanto luce che trasforma il mondo in un giocattolo.
Benissimo, faremo gli occhiali così.

E. L. Masters
Dippold, l'ottico
Dall'Antologia di Spoon River

martedì 21 agosto 2007

Credo sia terapeutico...

lunedì 20 agosto 2007

Pure io, pure io!!




Beh, qualcuno doveva ricambiare...

Er mercante de arte

Mostre d’arte (o presunte tali) saturano di colori le sale del castello.
- Buongiorno, vorrei acquistare un dipinto
- Benissimo, l’accompagno. Purtroppo per ora non c’è il pittore ma posso darle io qualche informazione. Altrimenti nell’attesa può visitare le altre mostre… ce ne sono quattro in questi giorni…
- Si si, nun se preoccupi… le mostre giàll’ho viste. E poi nun me interesseno, volevo comprà quarche quadro de questi perchéll’ha fatti un frate, ve’? m’hanno detto che i soldi vanno in beneficienza… allora semo venuti co’ mi moje… a fa' un po' de beneficienza!
Ride grasso.
- Ho capito. Avete già scelto?
- Si, uno si. Quanto viene?
- 450
- Aspetta amò, me piace pure questo…
- Ecco che comincia… e vabbé dai, li prendemo tutt’e due… quanto viene quello?
- “Trionfo mattutino”? 300
- E daje va… accettate assegni?
- Francamente non lo so, dovrebbe aspettare che arrivi la signorina…
- No perchéssennò c’avevo le carte…
Mi srotola davanti un malloppo di carte di credito con tutti i colori dell’iride.
- Eh no, per quelle proprio non siamo attrezzati
Ride in modo grasso. Somiglia al fratello malvagio di Jacovitti. Poi mi mette in mano settecentocinquanta euro cash.
- A me me piace l’arte. C’ho n’amico pittore che je compro sempre i quadri. Questo c’ha 93 anni, io 76. Je dico sempre che spero che se more prima de me così me rivendo i quadri sua ar doppio der prezzo…
- Immagino quanto il suo amico sia contento di vederla…
Ride grasso.
- Avoja, co’ tutti i sòrdi che je lascio… d’altra parte so’ tempi duri pe’ tutti. Io so’ ‘ngegnere sa? C’ho n’impresa de costruzioni e de restauri. Beh, lo sa che ho dovuto fa’ a giugno?
- Cosa?
- Licenzià tutti. Tutti i miei dipendenti.
- …
- Che vòle che je dica… oggi semo tutti sicuri de lavorà ma domani mica lo so simme conviene de tené tutta stà ggente… mo’ ecco. Me so’ comprato ‘na casetta qua ‘n montagna e so’ venuto in villeggiatura co’ mi moje. Solo che in vacanza nun ce so stà più de tre giorni... Doppo me rompo li cojoni. Allora lo sa che ho fatto? Me so annato a comprà ‘na carcolatrice e mo’ passo le giornate a rifamme i conti dell’azienda…
- Ecco, così non s’annoia. Beh, io la saluto, appena arriva la signorina gliela mando. Arrivederci.

Appoggio i soldi sul tavolino e lo lascio con una gran voglia di lavarmi le mani.

domenica 19 agosto 2007

Cent'anni di solitudine

Alla fine del tour del castello sento con la coda dell’orecchio una parola che cattura la mia attenzione. Mantengo la concentrazione il tempo necessario a chiedere la mancia e guido il gruppetto di turisti verso l’uscita. Nel mentre faccio una cosa che non mi era mai capitato di fare: raggiungo una turista, la fonte della parola che mi aveva colpito. È una signora anziana e lunga, con molte rughe che celano uno sguardo inusuale, fra l’austero e il malinconico. Quando incrocio quello sguardo comprendo di aver sentito bene.
- Scusi signora…
- Dica
Risponde gentilmente.
- Potrei sapere da dove viene?
- Oh beh. Sono originaria della toscana ma vivo a Roma da tanto. Poi quest’anno con mio marito abbiamo comprato un appartamento qui vicino… per il soggiorno, sa…
- Scusi se insisto. Potrei sapere di preciso da quale parte della toscana viene?
- Sono di Lucca
Lo sapevo! Quella pronuncia scolorita dal tempo, quello sguardo. Ne ero certo.
- Anche io signora vengo da Lucca
- Ma davvero? Non mi dica! Sergio, Sergio caro… abbiamo avuto una guida di Lucca!
- Veramente? Oh bella! E come mai vive qui?
La mia storia oriunda di tosco-romano ve la risparmio. È breve ma noiosa. In compenso credo che i signori si siano un po’ affezionati alla loro guida.
- Ma pensa di tornare a Lucca in futuro, a vivere intendo?
- Beh, signora, lo spero ma francamente non credo. Lucca non offre grandi sbocchi professionali a seguito di una laurea…
- Si, in effetti ha ragione…
Lo dice lui, il marito, mentre osserva pensieroso il pavimento. Poi si dirige verso il cestino nel quale deposita l’offerta più cospicua che abbia mai incassato. Mi saluta sorridendo. La signora si ferma un attimo in più. Mi stringe forte la mano, dicendosi contenta di avermi conosciuto.
- Signora, il piacere è stato reciproco. Buon viaggio se tornate su...
- Ci mancherebbe! Mica possiamo perderci la processione di Santa Croce!
- Giusto… io purtroppo non riuscirò a salire per quel periodo. Ma lo spirito è lì!
- Tanti auguri… le auguro di tornare a Lucca prima o poi. Da trionfatore.

Dice proprio così la signora, davvero. “Da trionfatore”. Come se stesse parlando a un eroe di Puccini.

Da ieri pomeriggio sono tornato fra le braccia di Tori Amos e della mia città. Perché le radici sono un sentimento strano, irrazionale, spesso insensato. Carico della malinconia originaria, quella virata in seppia da un fotografo ruffiano.
Mi manca la mia Lucca. I miei tetti rossi e la mia bicicletta da corsa verde del 1947. Mi manca la spuma alla spina e le c aspirate. Le mura e le pietre. E mi manca la mi’ nonna. Che un po’ somigliava a quella signora, solo che era più acida e bisbetica. E fumava come una ciminiera. E passava le giornate intere seduta su una sedia della cucina a guardare negli occhi la morte. Con Forum perennemente incastonato nella tv. Fumando.
Ma come voleva bene a me, la mi' nonna non ne voleva a nessun altro. E un pomeriggio di luglio di molti anni fa, dopo ore ed ore spese a raccontarmi i cent’anni di solitudine della nostra famiglia, prese a recitare a memoria Il gelsomino notturno. Improvvisamente.
Anche se non riuscivo a crederci, mia nonna piangeva.
Giuro.

Passa il lume su per la scala
lacrima
brilla al primo piano;
lacrima
s’è spento…
lacrima.

Stanotte dedico a tutte voi un pensiero virato in seppia, da fotografo ruffiano.

lunedì 13 agosto 2007

Impressioni di agosto

Impressioni di uno che mostra.
Impressione numero 1: esporre le proprie immagini al proprio paese è estremamente stupido. Nessun amico avrà mai il coraggio di dirmi se gli fanno schifo o se non gli piacciono. Seppure a qualcuno non son piaciute al limite è rimasto in silenzio senza proferire parola. Uffa.
Impressione numero 2: mi sento una gran puttana. Ho accettato di fare l’amore con la fotografia nei modi dettati da chi mi ha offerto un compenso in danaro. Questo – se non si sta parlando di fotografia industriale – si chiama prostituzione. E il prezzo delle marchette si paga…
Impressione numero 3: curiosamente non c’è una foto che statisticamente sia piaciuta più delle altre. Tredici pareri diversi hanno prodotto tredici preferenze diverse. Che vuol dire? Non lo so, ma qualcosa vorrà pur dire…
Impressione numero 4: la gente di fotografia non capisce proprio un cazzo. Ogni tanto vorrei prendere a male parole quelli che entrano ed escono in meno di un minuto. Se avessero la pazienza di osservare un’immagine almeno per venti secondi forse sarebbero anche in grado di dirmi il motivo per cui non gli piace. E io crescerei. Così non serve né a me ne a loro.
Impressione numero 5: il libro delle firme è una gran figata! Ogni giorno vado a leggere se c’è qualche nome nuovo e se sono fortunato ci trovo pure una mezza dedica. Fino adesso le dediche sono due: una mi fa i complimenti per il cognome. Si, una ragazza lo ha trovato fantastico e lo vorrebbe. Se fosse carina se ne potrebbe parlare ma non lo sapremo mai. L’altra è di un turista catalano che mi ha scritto in catalano qualcosa che neppure i miei traduttori spagnoli sono stati in grado di tradurre. Che palle. Magari era la risposta ad un dilemma esistenziale… Ah! No, oggi c’era la terza! Un ottimista ha scritto “Se Dio lo vorrà tornerò!” (Io l’ho preso come un anatema…)
Impressione numero 6: sto alla fotografia come Scialpi alla musica italiana. Ma come buongusto musicale lasciatemi perdere: l’altro giorno una turista spagnola (pure lei, si, un’invasione) è uscita dalla mostra e, saputo che ne ero l’autore, è venuta estatica da me per complimentarsi… della musica, appunto. Mio buon Cohen, tu solo mi capisci…
Impressione numero 7: i complimenti mi imbarazzano un casino. Non so mai cosa rispondere ad una distinta vecchietta di settanta anni che viene a farmi i complimenti facendomi presente che è una grande amica di mio padre. Non riesco mai a capire se i complimenti sono relativi al fatto che sono figlio di mio padre… Non è che potrei mandare affanculo qualcuno ogni tanto?
Impressione numero 8: a qualcuno spiego il perché delle foto, cosa vogliono rappresentare, e mi sento sempre rispondere che dovrei scriverlo. Spiegarlo a tutti. Perché la spiegazione è bella. Questo è un bel sassolino sul piatto del fallimento: spiegare le foto? Fare la guida turistica alle mie foto? Lo dicevo io che la comunicazione non era molto efficace… stupida fotografia concettuale…
Impressione numero 9: il faro alogeno per terra non è una grande idea. La quantità di calci che rimedia non mi lascia ben sperare sul suo futuro.

La mostra è una delle cose più buffe che abbia mai fatto.

lunedì 6 agosto 2007

The baffled king...


La mostra sui monasteri non la volevo proprio fare. Mi ripetevo in continuazione che non avrei dovuto accettare, che il paese è già troppo bigotto, che ci sono già troppi dipinti, che.

Allora perché l’hai fatto, Ben?

Per tre motivi. Il primo è perché amo la fotografia da quando avevo dodici anni. È l’unico linguaggio che non mi sia stato imposto in alcuna maniera, semplicemente mi ha scelto. Il secondo motivo è che non so dire di no, e questo è noto. Il terzo motivo è che non so dire no alle sfide.

-Ben, preparami una mostra fotografica sui monasteri. Voglio scatti originali.

Originali? Monasteri che da mille anni vengono riprodotti in ogni salsa? Originali?
Bene. Farò degli scatti originali.

Dei 500 scatti effettuati in sette mesi ne ho selezionati 13. Solo tredici immagini che vorrebbero essere un percorso intimo e critico nei confronti di una fede che ha perso la sua chiesa.
O viceversa di una chiesa che ha perso la fede delle origini, quella pura, quella sincera.

Motivo per cui nella colonna sonora che ho mixato si accavallano le note di De André (Laudate hominem) e Mozart (Dies irae), di Cohen e di Gabriel. Fino alla originaria purezza di Jeff Buckley.

All’ingresso troverete questa citazione di Leonard Cohen che riassume il mio lavoro (e la mia forte perplessità sulla sua qualità!):

I did my best, it wasn't much
I couldn't feel, so I tried to touch
I've told the truth, I didn't come to fool you
And even though
It all went wrong
I'll stand before the Lord of Song
With nothing on my tongue but Hallelujah.


And even thought it all went wrong,
I want to send you a great embrace.

Benjamin


PS: non sono molto convinto del risultato, anzi. Non credo che la mia comunicazione sia così efficace.

Per questo vi mostro una foto che non ho esposto.

Un mio autoritratto.

Ma semplice.

Puro.

Io.

lunedì 23 luglio 2007

Viva l'Italia! - Diario dal porto n°6


Mi affaccio in bottega per farvi fare una risata amara.
- Ok, Ben, complimenti per il lavoro... masterizzami una trentina di copie e hai finito.
- Bene. Devo scrivere qualcosa sull'intestazione ?
- Si. Ora ti dico.
- Vai.
- Dunque... Progetto Movie 2007. Ideato dalla Dott.ssa Marina Dell'Aria. Realizzato dalla Dott.ssa Franca Severini, dall'Ass. Soc. Ludovica Serangeli e dall'Ass. Soc. Carla Tiravanti.
- ...
- Ok. Ci vediamo domani per i dvd ok? Cià cià cià...

.Click.

Mi domando se gli assistenti sociali siano tutti così stronzi o fanno un esame apposta per diventarlo. I cinque nomi di dottoresse si sono spartiti in tutto 6 incontri con i ragazzi. Io da solo 45. Alcune di loro non sanno neppure che facce abbiano i ragazzi. Eppure il progetto risulterà realizzato da loro.

Viva l'Italia.

Signore, accomodatevi pure al banchetto dei meriti, salite su quel palco e gonfiatevi la bocca con la vostra
ipocrita smania di sociale. Ma tenete sempre presente che accaparrarsi la merce che io e il mio equipaggio abbiamo condotto alla meta non significa accaparrarsi anche il viaggio.
Nostro è stato il sudore e nostra resterà la passione.
Nei nostri ricordi i sorrisi e lo sconforto.

Sprezzante vi lancio le perle dal ponte,
nutritevi pure della loro apparenza.
Dal canto mio non perdono e tocco.

martedì 17 luglio 2007

Jungle fever


È l’inizio della fine: i corti sono montati, l’intervista alla PFM l’ho fatta stamani. Ho consegnato i lavori di grafica in tipografia e riparato l’ultimo computer. I miei colleghi stanno rientrando dalle vacanze e quindi diminuisce il mio utilizzo monastico. Ho persino superato indenne (indenne si fa per dire, ovviamente) l’avvento del segretario di stato vaticano. Il cineclub ha chiuso la stagione. Le foto per la mostra sono in cantiere ma sono cautamente ottimista.

Insomma, piano piano si dirada la giungla di impegni nella quale mi ero cacciato.

Ed è adesso, mentre la mia camera si impregna di citronella e zampirone e la mia pelle continua imperterrita ad ingiallirsi dei raggi catodici che provengono dal monitor, è adesso – dicevo - che la faccenda si fa complicata.

Perché la giungla ha i suoi lati positivi, Kipling docet… e uno su tutti: la giungla nasconde. Nasconde i templi, nasconde le tigri e i pitoni e - quando è fitta fitta - nasconde pure la luce del sole. Che se uno è in fuga da qualcosa non è un brutto posto, una volta imparato a viverci… qualche accorgimento, un po’ di agilità, e uno potrebbe vivere sempre nella sua giungla. Evitando ciò che non deve essere svelato, evitando tutti quei demoni che… dannazione… tutti quei demoni che adesso mi hanno fatto metter su questa tromba e mi fanno bramare un toscanello sul terrazzo…

Son tornati. Non dovevo uscire allo scoperto ormai. Avrei dovuto restare appeso alle mie liane o ai miei rami tropicali. E invece no, non sono stato abbastanza accorto e la giungla mi ha ributtato nella nuda savana.

Che palle. Domani mi cerco un baobab.

sabato 14 luglio 2007

Diario di bordo dal porto - Num.5

- Sei un bastardo Ben.
- Lo so
- No. Dico sul serio. Sei un bastardo Ben.
- Ne convengo.
- Prima mi fai appassionare a una cosa e ora mi dici pure di continuare?
- Devo Ricca’. Secondo me hai talento. Se curi un po’ la tua preparazione, dizione e via dicendo… e se ti metti in mano a un regista vero… tu, Marco e Carlo dovreste continuare.
- Non me di’ così… guarda che se poi ce inizio a crede…
- Non ti voglio illudere. Lo sai che è un mondo stronzo quello della recitazione. Non ti dico che fra sei mesi diventi una stella del cinema. Però secondo me te la cavi bene e sarebbe un peccato se smettessi di recitare. Io proverei con una scuola, so che Tivoli ce n’è qualcuna.
- Vabbè ma facciamo un altro corto! Comincio pure domani se me chiami!
- Vedremo… Dove stai andando? Al mare?
- Si. Prima vado a trovà la ragazza mia. Non puoi capì Ben… è troppo bella, è tutta lei! Aspetta, ti faccio vedere una foto…

Il display del cellulare mi mostra una ragazzina in posa che sembra la locandina di Lolita… si vedono solo gli occhiali da sole calati sul naso e un lecca lecca in bocca.
- Complimenti Riccà. Mi raccomando però, comportati bene… non come Carlo...
- Si si, tranquillo… me piace proprio… pe’ lei sto a partì tre quattro volte la settimana…
- Accidenti, allora è vero amore!
- Eh… è presto per parlare d’amore. Però ce sto troppo bene…
- E allora goditi queste giornate ragazzo… e non smettere mai di frequentare Roma. Sono convinto che ne derivi parte della tua bravura.
- No no, non te preoccupa’. Ar paese non ce la faccio a sta più de tanto… e poi mo’ c’ho lei a Boccea…

Il mio paese non è un brutto posto. E’ squallido, culturalmente arido e naturalmente tendente ad una versione ipocrita del bigottismo.
Ha un pregio il mio paese rispetto alla grande città.
Si vedono le stelle.

mercoledì 4 luglio 2007

Touché


Torno a leggere Rostand. Lo faccio fiero perché in questi giorni tocco. Come Cirano.

«E invece… cantare, ridere, sognare, essere indipendente, libero, guardare in faccia la gente e parlare come mi pare, mettermi – se ne ho voglia – il cappello di traverso, battermi per un si per un no o fare un verso!
Lavorare senza curarsi della gloria e della fortuna alla cronaca di un viaggio cui si pensa da tempo, magari sulla luna!
Non scrivere mai nulla che non sia nato davvero dentro di te! Appagarsi soltanto dei frutti, dei fiori e delle foglie che si sono colte nel proprio giardino, con le proprie stesse mani!
Poi, se per caso ti arriva anche il successo, non dovere nulla a Cesare, prendere tutto il merito per te solo e, disprezzando l’edera, salire – anche senza essere quercia, né tiglio – salire, magari poco, ma salire da solo!»

A voi, chinando il pennacchio,
Ben

giovedì 28 giugno 2007

Commiati - Diario di bordo n.4


Ok ok, lo so. Doveva succedere. Ma sì… però faccio sempre fatica a superare gli addii. Forse è per questo che non riesco a viaggiare quanto vorrei. Già. È come quando l’onda che non ti aspetti, lì dove ancora senti i piedi immersi nella sabbia, ti raggiunge il naso o le orecchie. E hai quel senso di fastidio, di smarrimento. Breve ma intenso.
Forse è per questo che non so neanche nuotare.

Ho appena concluso le riprese.
25 ragazzi divisi in 3 terzi di istituti professionali e ragioneria. 45 incontri in 3 mesi. Che significano praticamente incontrarsi un giorno si e uno no. 15 ore di girato. E poi le loro storie. Con che unità di misura si calcolano le vite che si incontrano, che si conoscono, che condividono un unico progetto?

L’altra sera, l’ultimo giorno di riprese con ragioneria, abbiamo lavorato dalle 15 alle 24.15. I ragazzi erano stremati, io avevo persino dimenticato di mangiare. Ma c’è stata una scena che credo veramente fantastica. Per la prima volta mi sono sentito veramente orgoglioso delle capacità dei miei ragazzi. Non più della loro costanza o della loro buona fede, non della loro sensibilità o della loro simpatia.
Orgoglioso della loro recitazione.
Dopo 90 giorni di lavoro l’altro ieri ho assistito a tre giovani uomini che interpretavano. Non più di un quarto d’ora, non più di un attimo. Un’emozione che non conoscevo: quelle parole che gli avevo cucito addosso immaginandoli ora prendevano vita, e il risultato era ancora migliore di quello che avevo immaginato.

Quella sera gli autori delle dediche della settimana scorsa mi hanno regalato questa foto.
Perché forse, in fondo (ma in fondo in fondo in fondo) , mi vogliono un po’ di bene.
Sicuramente non più di quanto gliene abbia voluto (e gliene voglia) io.

Signore e signori, è stata durissima.
Ma sono orgoglioso di aver avuto la possibilità di lavorare con tutti voi.

Ben

martedì 19 giugno 2007

Nodi al pettine - Diario di bordo num. 3

Con l'Elettrotecnico ho finito le riprese. È stata una bella iniezione di fiducia. I ragazzi mi sembravano contenti e anche il meno dotato se ne è uscito con un «Ma ci pensate a quando rivedremo questo filmino (lo chiamano così…ndr), magari fra vent'anni?» Bene. Questo spirito mi piace.

Mi piace meno quello di Ragioneria. Marta oggi mi ha detto che se non vincono, «dopo tutta sta fatica» (loro!?!), mi viene a cercare per picchiarmi. Questo spirito mi piace meno… Oggi dopo 9 (nove) ore quasi consecutive di riprese Marta, Valeria e Giacomo mi hanno dato una copia della sceneggiatura piena di dediche, a detta loro. Su ogni pagina hanno scritto "Ben ti odio", "Ben mi hai rotto i coglioni", "Ben non posso più!!!" e via dicendo. Riporto testualmente (e con la maggior fedeltà grafica possibile) la "dedica" dell'ultima pagina.


RINGRAZIAMO MOLTO QUEL BRUTTO STRONZO E ANCHE FROCIO, **###** GRANDISSIMO TESTA DI CAZZO DI…

BENJAMIN BROWN

xò in fondo

TVB

Bye Marta, Valeria, Giacomo, Salvatore, Dario, et. etc.


Come non amarli?

venerdì 8 giugno 2007

Notturno numero uno

Ci sono sere in cui si torna a casa carichi di preoccupazioni e brutture. E malinconie. Metto su Belle & Sebastian, o il buon Jeff Buckley, e immagino.

Stanotte immagino una brezza leggera e le praterie di una America da film. Molto demodé, ne convengo. Apro una porta di rete un po’ sgangherata e esco nella mia veranda di legno, bianca, stinta. Metto davanti ai miei occhi un tramonto non particolarmente caldo, non rosso. Anzi: il tramonto è biancastro, lontano oltre le montagne che circondano la prateria. C’è solo quel bianco sfumato e tanto verde, ma un verde potente. Quasi cupo.

Se sapessi farlo prenderei un banjo per suonare un ritornello dal ritmo allegro e dalla tonalità triste. Invece sto li, ad ascoltare i cani che abbaiano in lontananza. Rientro solo quando il sole è calato del tutto e i grilli musicano lo spettacolo delle lucciole.
Rientro solo quando c’è la sua voce a chiedermi di rientrare.

È freddo Ben … Entra e chiudi la porta.

Chiudo la porta alle mie spalle e raggiungo quella voce, quei piedi scalzi che mi aspettano in cucina. L’oscurità fuori della porta, la luce sul nostro piccolo tavolo stinto.
Di cosa profuma una casa nella prateria? Di vento, credo.
Vista da fuori, dal vento, la finestra della nostra cucina deve sembrare una lucciola un po’ più grande delle altre.
Vista da dentro, dai nostri corpi, quella casa non esiste. Esistono solo i margini del tavolo di cucina, azzurro, e poi i confini stropicciati delle nostre lenzuola, luminoso luogo che non conosce parole.

Come immagino l’Amore dentro una casa persa in un deserto verde, spento nella notte?
Come la luce di una sigaretta, accesa nella notte.

sabato 2 giugno 2007

Spade & cuori - Diario di bordo num.2

Oggi, per la prima volta, ho fatto vestire Mara da ragazza. La sceneggiatura lo esigeva. Via jeans bracaloni da rapper, via la maglietta nera con le borchie e pure gli scarponi da ginnastica slacciati. Largo a pantaloni neri di raso, ad una dolcevita bianca smanicata e alle ballerine nere (che fanno tanto contento il regista… lo illudono di aver a che fare con un’Audrey Hepburn nascosta…).
L’impatto è stato notevole: lei era arrabbiatissima. Mandava a fare in culo chiunque le dicesse “stai bene”. Ho provato a dirle che era uno splendore e mi ha picchiato per tutta risposta. Accidenti, quella ragazza ha carattere, rabbia e un mucchio di cose da dire. Solo che non lo sa e io non riesco a farglielo capire. Come agli altri, d’altronde.

Lo ammetto: quella classe è un fallimento. Partecipano al progetto solo per l’ipotesi di vincere il viaggio premio, mentre del corto non gliene frega un accidente. Oggi mi sono arrabbiato con i maschietti che mentre allestivo una scena sono andati al bar a farsi due o tre Camparigin. Alle quattro del pomeriggio. Per poi rendermi conto che dopo due mesi di incontri e una sceneggiatura scritta con loro e già corretta (dall’impagabile Ainda, preziosissima!), alcuni ragazzi ancora non sanno come va a finire il corto. È terribile. Se ne sono sbattuti così tanto le balle da non preoccuparsi neppure di leggere dieci pagine di sceneggiatura.
La buona notizia è che le cinque ragazze della classe si sono battute per le mie ragioni, mi hanno difeso e sostenuto in questa guerra civile. Hanno rinfacciato ai nullafacenti i miei sacrifici e la mia dedizione. Mi fa piacere che almeno quello sia arrivato. Peccato che la mia dedizione non sappia recitare…

Dimenticavo: Mara non mi sembrava del tutto contraria al suo nuovo abbigliamento… mi sa che c’avevo preso: i complimenti di Mario sono stati accolti con molte più carezze che schiaffi… ah, l’amour!

martedì 29 maggio 2007

Il pastore tedesco


Io ho un brutto difetto: non riesco a dire di no.
- Ben, lo fai tu il gruppo dei ciechi dopodomani?
- Ciechi? Nel senso di cecoslovacchi?
- No no… ciechi proprio… dell’Unione Italiana Ciechi…
- Ciechi?? E che diavolo gli dico?
- E che ne so? Se te la senti…

Altro difetto: non bisogna mai dirmi “se te la senti”… l’inebriante profumo della sfida è una sirena che non so evitare…
- Certo che me la sento! Dai, me lo faccio io ‘sto gruppo.
- Ok, bene. Guarda, sono già venuti altre volte… si muovono lentamente ma l’importante è che stai attento a non usare i verbi vedere, guardare, osservare e via dicendo…

Beh, stavolta ho osato tanto, probabilmente troppo. Me ne sono reso conto nel trovarmi all’interno della chiesa inferiore, completamente circondato da ciechi e dipinti del duecento. E senza il verbo vedere. Ho pensato: “massì, in fondo è come se scrivessi per la mia bottega… anche le mie clienti sono cieche di fronte ai miei racconti… l’importante è cercare di trasmettere col cuore tutta questa bellezza …”
Mi sbagliavo. Perchè la media dei non vedenti (di quel gruppo, ovviamente) non possiede la sensibilità delle mie clienti, anzi… l’ho capito quando una signora non vedente mi si è messa sotto braccio per farsi condurre.

- Li mortacci loro… ‘sti ciechi del cazzo… ma guarda come vanno piano! Che palle… so’ proprio lenti ‘sti cazzo de ciechi… vada avanti! Non li aspetti: se vojono sentì se sbrigheno…
Me lo ha ripetuto per tutto il pomeriggio… in continuazione…
Tutti i miei sforzi di trasmettere il senso e la bellezza dei dipinti è andata a farsi friggere. Nonostante abbia evitato il verbo vedere.

Al secondo monastero qualcosa è cambiato. In mezzo a questa colorita e indisciplinata folla una sola ragazza, un’accompagnatrice, dai capelli mori e dal sorriso luminoso. Giovane, vestita di azzurro. Mi ha sollevato più di una volta con la complicità del suo sguardo chiaro.
I miei discorsi si sono nutriti di quel sorriso. Hanno fatto del suo sorgere un costante obiettivo.

Grazie a quel sorriso ho iniziato a pensare meno, a parlare più con il mio pubblico che per il mio pubblico. Debbo a quel sorriso i ringraziamenti del gruppo.

Ho terminato il turno riprendendomi il braccio che la signora non voleva più restituirmi. Ormai ero così naturale che parlavo dei Beatles con lei, fan della prima (primissima, probabilmente) ora.
- Signora sa che proprio oggi stavo ascoltando un l’album di un’orchestra sinfonica che interpreta i Beatles?
- Ma va! No, guardi, i migliori album restano quelli degli anni sessanta… (canticchia Yellow Submarine)
- Ha ragione, io preferisco quello… come si chiama…
- Sergent Pepper?
- No…
- Please please me?
- No no… quello con la copertina… quello con i quattro in copertina che attraversano la strada…
Tace.
Ah già… forse sono stato troppo naturale…
- Abbey road!
Esclamo.
- Ha ragione, è bellissimo…

lunedì 21 maggio 2007

Un tagliere

Ieri sera un tagliere.
Un tagliere di legno. Circolare, massiccio.
È rotolato dall’alto, dalla sua abituale posizione verticale, proprio nel momento in cui ero fermo davanti a lui. E mi ha colpito così bene, ma così bene da spezzare esattamente in due parti uguali i miei occhiali.
Sono cose che fanno riflettere.
In realtà sono cose che prima di farti riflettere ti fanno tirare una serie di porchissimigiudacaneladrobavoso lunga quanto la preghiera serale di un muezzin. Però poi rifletti.
Perché mi ero affezionato a quegli occhiali più di quanto pensassi. Mi hanno permesso di assistere agli ultimi quattro epici anni della mia vita. Tutti raccolti in una serie pressoché illimitata di solchi che attraversavano le lenti manco fossero campi di patate. Roba che se osservavo ogni punto luce mi pareva una stella enorme.
Eppure ora giacciono inermi sulla mia scrivania.
Fa riflettere.

Fa riflettere la coincidenza. Ieri sera. Alle 21.15 circa. Mi trovavo esattamente sotto quel tagliere per gettare nel secchio della spazzatura un tovagliolo. In quell’esatto momento, probabilmente a causa del sordo rumore, ho alzato il capo nell’esatta inclinazione necessaria perché il cerchio di faggio colpisse il ponticello dei miei occhiali blu. Un grado meno e mi avrebbe preso in piena fronte. Un grado in più e mi avrebbe colpito in bocca.
Dio c’è. E c’ha pure una gran mira.

Fa riflettere l’ironia della sorte, la sua beffardaggine. Da una settimana sto fotografando il campionario di un mio amico. Che c’ha la fabbrichétta. 400 paia di occhiali da vista. Quasi mille foto.
Così ora mi ritrovo senza i miei occhiali sommerso da quattro centinaia di occhiali da vista di ogni foggia che riposano in vellutati campionari. Privi di lenti graduate. Privi di qualsiasi ambizione di vita. Inutilmente nuovi.

Oggi ho iniziato le riprese. Con delle tristissime lenti a contatto.
«Fanno risaltare i tuoi occhi!»
Dicono.
Frega un cazzo.

Ero affezionato ai miei occhiali.
Blu.

martedì 15 maggio 2007

Postilla

Domani è il primo giorno di riprese. Ho preparato tutto, dalla videocamera al cavalletto, dal microfono sull'asta ai pannelli riflettenti.
Alle ore 22.30 Giovanni, uno dei protagonisti, mi chiama dal pronto soccorso: gli stanno ingessando l'indice della mano destra.

Cominciamo bene.

Diario di bordo - Num.1

Giovanni verrà bocciato, pare. Ma lui l'ha presa con molto fair-play. In fondo classe sua è piena di ripetenti e magari riuscirà anche ad allargare il mercato dell'erba che spaccia.

Marianna ieri aveva il mal di testa. Mi ha spiegato che è dovuto al malocchio che le è stato fatto da qualcuno e che ha un appuntamento con suo zio per farselo togliere. Pare che suo zio sia un gran curatore di malocchio a colpi di olio e sale. Ma in che anno vivono al suo paese?

Nicoletta mi ha fermato per strada e confidato la sua nascente relazione con un ragazzo molto più grande di lei. L'ho messa in guardia e le ho raccomandato di farsi rispettare e di stare attenta a non farsi prendere in giro. Il suo rossore e il suo sorriso mi preoccupano un po'.

Michele si è slogato una caviglia e quindi non prenderà parte alla gara di carriole che effettueremo per una scena. Si, lo so. Le bighe erano terminate. E poi c'aveva l'esclusiva Charlton Heston.

Miriam mi ha mostrato orgogliosa una foto che aveva nel portafoglio. "Guarda quant'è bello l'amore mio!" mi ha detto. Pensavo si trattasse del suo fidanzato. Era Che Guevara. Mi ha fatto tenerezza.

Federico si è incazzato a morte perché non volevo scrivere una scena come la voleva lui. Abbiamo discusso per dieci minuti. Ma non era cattiveria la mia: il problema è che non capivo neppure la metà della sua idea. Peraltro ottima, e dunque adottata.

Ho chiesto a Piero di comporre con la sua band musiche originali per il corto. Lui è entusiasta, io preoccupato. È un fanatico dell'Heavy Metal…

Mario viene preso in giro continuamente da Mara perché è vergine. Lui incassa con molto savoir-faire. Secondo me Mara è un pochino innamorata di lui.

Mi fermano per strada i ragazzi dell'anno scorso. Molti mi raccontano cosa fanno, altri no. Mi fermano anche ragazzi che non c'entrano niente e che vorrebbero partecipare lo stesso. Alcuni gruppetti tacciono al mio passaggio.

Il paese è piccolo, la gente mormora.
Ma i ragazzi si stanno muovendo. Decine di ragazzi stanno creando.

Sono stanco, soddisfatto e preoccupato.
Che il vento ci assista.


Benjamin

sabato 5 maggio 2007

Tris d’assi…

Tris di piccole soddisfazioni settimanali: un concerto di Stefano Bollani che riecheggia ancora nelle pareti del mio cuore, una piacevole intervista fatta dal sottoscritto (!) ad un cantante libero e onesto: Graziano Romani (molto bravo ed estremamente cordiale) e infine "The costant Gardner", film di cui parlerò prossimamente.

È un brevissimo post per raccontare tre giorni di nutrimento artistico, avevo veramente molta sete. Forse è per questo che oggi i ragazzi del progetto movie mi hanno trovato un po' più in forma (e la sensazione è stata ricambiata, iniziamo a ingranare con qualcuno…). Si va avanti. Si va avanti.

sabato 28 aprile 2007

When I hate everything…


C'è una cosa di me che odio. Oddìo, ci sono molte cose di me che odio. Anche negli altri odio molte cose, ma questa è un'altra storia. Una delle cose che odio di me è il sentirmi corrompere dalle res adversae. Sai quei periodi in cui va tutto un po' storto? Non molto, un po'. Un giorno il lavoro, un giorno un amico, un giorno un nemico. Una giorno la tua famiglia, un giorno quella degli altri. Il lavoro che diventa un'oppressione, il non lavoro che opprime ancora di più.

Ecco, in quei periodi, senza che me ne accorga, l'oscurità comincia a annerirmi l'anima. Mi faccio più schivo, più buio, più brutto. Inizio ad essere meno tollerante e a farmi mille paranoie sulle persone che mi girano intorno. Ignari satelliti di un pianeta in ebollizione.

Più passa il tempo più i nervi si tendono. E più i nervi si tendono più fatico a ritrovare il bello, a riconoscere ciò per cui vale la pena di alzarsi al mattino. Insomma, a salvare tutto ciò che inferno non è, come direbbe Calvino. E questo mi dispiace. Perché con tutto il caos e le amarezze che a volte la vita ci riserva, bisognerebbe avere sempre cura di quella piccola oasi che risiede in noi stessi. Bisognerebbe riuscirci. Ritornare a nutrirla delle piccole cose, delle piccole attenzioni verso sé stessi e verso gli altri che rendono la vita quotidiana un po' meno infernale. Un po' più purgatorio.

Il paradiso? No, quello è un posto riservato a chi può (con)dividere l'esistenza con una metà che sia anche meta.

sabato 21 aprile 2007

La sola ragione del viaggio: viaggiare.

- Allora, Ben, sei disponibile quest'anno a fare il progetto movie?
- Mah, non so. I tempi sono già stretti…
- Per quelli non ti preoccupare, posticipiamo la proiezione. Allora?
- Beh, allora si dai…
- Pensi di lavorare con qualcuno? Ti occorrerà un aiuto?
- No. Quest'anno farò da solo.
- E la tua ragazza?
- Quest'anno sarò solo.
- Ce la fai?
- Ce la farò.

Inizia così la traversata primaverile dell'Anno Domini 2007. Con un impegno degno di Shakelton. Condurre in solitaria trenta ragazzini di diciassette anni attraverso la realizzazione di tre cortometraggi. Tragitto semplice: soggetto, sceneggiatura, regia e recitazione, montaggio e musiche, proiezione. Lineare.

Lungo il tragitto le insidie, quelle che ogni capitano deve affrontare: rischio di ammutinamento dei ragazzi, rischio di finire contro gli scogli dell'indifferenza, rischio di perdersi nella nebbia dell'incomprensione o di restare incastrati nei ghiacci della frustrazione.

Da tre settimane siamo salpati, e abbiamo già quasi raggiunto la seconda meta. L'umore a bordo è ancora alto, anche se tenerlo alto fino alle riprese è difficile. La penna affascina meno della videocamera. Qualche ragazzo si sta appassionando, sta uscendo dalla psichedelica mentalità playstation e inizia a flirtare con il ritmo cinematografico. Mi fanno sorridere quando cerco di proporre soluzioni alle sceneggiature e mi sento incalzare con continui: "E poi? Su, dai, poi che succede?" "Dimmelo tu – rispondo sempre – dimmelo tu cosa succede". Li punzecchio continuamente. Odio il torpore del nuovo millennio. Per queste cose occorre passione. Da parte di tutti.

Senza che se ne rendano conto mi appaiono un po' come bambini in quei momenti, sembrano riscoprire il piacere del sentirsi raccontare una storia. Le ragazze, a onor del vero, sono sempre le più interessate. Ma sono pochissime, le classi coinvolte provengono tutte da indirizzi tecnici.


Non basterà questo post per raccontare tutte le sensazioni e le speranze che mi animano.

Credo che terrò un diario di bordo.


Ritto sul cassero, con lo sguardo attento,

Benjamin Brown

mercoledì 11 aprile 2007

Architetture lontane

Come sanno le poetesse che frequentano questa bottega, esistono parole in grado di evocare anche ciò che non dicono. Esistono stati emotivi che solo parole errate sanno descrivere.
Volevo dunque dedicare alle mie clienti questa breve storia d’amore, che adoro per la sua freschezza, per il suo ottimismo e per quella capacità evocativa di cui sopra.
Che sia di buon auspicio per questa bella stagione che incombe minacciosa sulle nostre teste.

Avvenne per caso
in una stradina moderna
sotto la pioggia
Gli ombrelli che fanno zum -zum - zum
E l’ universo fa bum - bum - bum

Lui: una canzone francese
Lei: una rossa risata irlandese
Piovvero languidi giorni
Piovvero languidi giorni…

Sì ma io dov’ero andato
Tutto mi sarei guardato
E ne avrei scritto anche meglio di così

Lui era un loden portato
da una dolcezza senza rimpianti
da studi classici ardenti,
la pipa morsa tra i denti…

Lei era un cavallo, un gatto,
un’ondata di mare nordico al sole,
Vestita come uno vuole,
Vestita come uno vuole…

Due belle gambe, lei
e un po’ di fumo azzurro, lui…
Col permesso degli dei…

Gli déi dei bei sonni…
Gli déi dei begli anni,
Gli déi dell’ amore rosso,
del fuoco nelle sottane, architetture lontane…

La vecchia canzone francese
contro una rossa risata irlandese
Gli ombrelli che fanno zum -zum - zum
E l’ universo fa bum - bum – bum

Architetture lontane, Paolo Conte

giovedì 5 aprile 2007

Jazz


Quando il trombettista di Berghidda tiene la nota,
dopo vortici di sonorità e ritmi spezzati, il pubblico sembra trattenere il respiro.
Passano i secondi: dieci, venti, oltre.
Continua, Fresu, a tenere quella nota che non vuole esaurirsi. La leggerezza con cui suona potrebbe essere la stessa necessaria a tenere in bocca una sigaretta.
E il pubblico sta lì, sospeso, consapevole del fatto che se lo volesse, quella nota Paolo Fresu potrebbe tenerla nella sua tromba tutta la notte.
Poi il suono si sopisce. Lentamente, molto lentamente.
Il sardo dallo sguardo limpido si tende con tutto il corpo per accompagnare la musica verso il silenzio, per consegnarla nelle mani di un applauso che potrebbe anch’esso durare tutta la notte.
Paolo Fresu lo sa.
E sorride.

Un piccolo frammento dell'articolo che sto scrivendo sul concerto romano di martedi... perchè al paese scrivo per un pubblico che non esiste, mentre qui - spero - qualcuno potrà sedersi di fianco a me, al buio, per ascoltare questa tromba che squarcia il silenzio consapevole della sua responsabilità...

PS: Un abbraccio ad Ainda & Brother che mi hanno mostrato una Roma nuova, che non sospettavo. E che mi hanno fatto condividere delle notevoli salsicce! A presto!

sabato 31 marzo 2007

Quanti ne occorrono ?


Scadono i punti del latte, sta arrivando la primavera. Mia madre vuole sapere cosa prendere: con 100 punti si possono prendere i piatti, ma non entrano in lavastoviglie. Con 380 punti si prende il barbecue elettrico. Ma dove la trovo una presa in un bosco? Ci vogliono 1.000 punti per ottenere una macchina da caffè espresso. Ma io sono per la moka.

A 15.000 punti c’è un barile di serenità, che può essere recapitata a casa previa raccomandata. Non ho abbastanza punti, accidenti. 12.500 punti ci sarebbe un abbraccio di lei, ma chiaramente solo l’immagine. Palliativo di serenità, non vale tutti quei punti. A quel punto potrei prendere per 10.000 punti i suoi occhi, il loro colore da portarsi sempre dietro, in viaggio o in caso di necessità. Ma no, non sono affatto convinto.

8.000 punti. Interessante. Per ottomila punti mi danno il suo profumo. Leggero nell’aria primaverile, che si confonde con le giunchiglie e la mimosa. Ma ho già le giunchiglie nel vaso e la mimosa in fiore, perché dar via tutti questi punti?
Con 500 punti l’abbonamento a sogni ad occhi aperti. Bastano pochi punti perché bisogna esser bravi, avere una certa dimistichezza con la materia. Certo potrei… ma si, potrei riprovare, pian piano. Costruirmi una piccola casetta sull’albero dell’anima. Un rifugio accogliente da raggiungere in caso di pioggia persistente o di malinconiche attese. In caso di muri che non vogliono cedere…

Si, ho deciso.

mercoledì 21 marzo 2007

Storie d'amore e di sigarette

L’Amore è il danzare grottesco di un uomo sgraziato e impacciato.
Un sentimento così inafferrabile che l'umanità dinanzi ad esso non può che arrangiarsi, come un ballerino improvvisato chiamato ad interpretare una coreografia che ignora... tutti personaggi riuniti in un girotondo folle e scanzonato, drammaticamente appassionato.
Tremendamente umano.

In sostanza, se vi capita guardatevi Romance&Cigarettes, di John Turturro.

Sono curioso di sapere se sono l’unico scemo che si commuove al termine di questo commedrammusical…

giovedì 15 marzo 2007

Passion


Giorni in cui il dolore è stato forte, giorni di spasmodiche domande che si incardinano in una ossessione.
Giorni di ferite, vecchie e aperte a forza da una lama affilata come una falce.

Giorni della memoria, di ciò che è stato e che sarebbe potuto e che adesso è così incredibilmente diverso.
Giorni in cui le piccole onde della melanconia lambiscono gli occhi che hanno visto.

Ho piantato tre ulivi questa mattina. Ho scavato tre buche profonde nella terra appiccicata e selvatica.
In una ho messo il ricordo di lei, come un tesoro che la terra custodirà.
In una ho messo il dolore di questi giorni, come un segreto che la terra custodirà.
In una ho messo la speranza per il domani, perché la terra possa farla fiorire.
Sopra ogni buca un ulivo. Perché il legno d’ulivo è il più forte e il meno domabile. Decide da solo dove e come vuole essere, e arriva ad esserlo. Fosse anche stato piantato sulla pietra viva.

Per tutta la vita ricorderò il giorno e lo stato d’animo con cui ho piantato quegli alberi. Questo ricordo vivrà oltre la mia stessa vita, con quelle piante, come nei film di Wong Kar-Wai.
Mi piace immaginare che un mio nipote farà l’amore sotto quegli stessi ulivi, ignaro del fatto che furono eretti a custodia dell’Amore, della Memoria, della Speranza.
Ignaro del fatto che quei tre ulivi sono i pilastri su cui regge anche la sua stessa, umana esistenza, di giovane del 2049. E di tutte quelle avvenire.
Augurio antico di perenne felicità.

mercoledì 7 marzo 2007

Silent sunset...


Sempre alla ricerca di un linguaggio adatto, intanto uso quello dello sguardo.
Una delle mie montagne al tramonto un mesetto fa.
Le orme che vedete perdersi all'orizzonte sono dell'homo viator che affronta la salita immerso nella neve fino alle ginocchia... purtroppo la maggior parte dei colori, i suoni del silenzio e i jeans zuppi sono ancora difficilmente riproducibili. Imparerò meglio.

lunedì 5 marzo 2007

Giorno di solennità...

Il presidente della regione aveva iniziato bene il suo discorso. Aveva persino citato Beckett prima di abbandonarsi ad un’inconcludente spirale di politichese, come un marito frustrato che si getta fra le gambe di una puttana.
Poi il corteo storico, poi le parole dell’abate che riecheggiano. Cosa? Niente. Riecheggiano e basta. Poi una nuvola d’incenso che mi invade i polmoni e mi fa chiedere sempre: “perché, cazzo? Perché?”
Poi le foto dei fotografi, le parole dei giornalisti e le tonache dei monaci.

Poi la pausa pranzo.

Raggiungo la mia montagna, quella di quando ero ragazzino. Salgo, scivolo, riprendo. Rocce, fango, erba. Il paese piccolo piccolo in fondo alla vallata. Eccomi in un buon punto, alto abbastanza. Mi fermo. Tolgo il cappotto.
Eccomi qui dopo tanti anni: un tipo strano in giacca e cravatta, con il fiatone, in mezzo al fianco di una montagna. Mani in tasca.

Mi siedo su una roccia e respiro. Respiro e ascolto il sole che mi scalda il viso. Chiudo gli occhi e sento il vento, forte, marzolino. Stringo più forte gli occhi e mi faccio pietra. Riesco persino a sentire le grida dei falchi. Che effetto strano questi versi nel cielo mescolati alle risa lontane dei bambini che giocano nel prato più a valle. Che effetto strano pensare che è il 4 marzo del 2007 e non ho niente intorno che me lo faccia credere.

Avete mai provato la sensazione di non avere bisogno di niente? No, non di nient’altro. Proprio di niente. Un giorno, magari, riuscirò a spiegare questa sensazione per la quale, ad oggi, non posseggo ancora linguaggio minimamente efficace.

Vogliate scusarmi.

martedì 20 febbraio 2007

La storia siamo noi, siamo noi padri e figli...


Suona suona suona De Gregori.
Ho passato il giorno degli innamorati con un paio di amici, quelli storici. Quelli che non ti ricordi come hai conosciuto perché sei sicuro che in realtà ci siano sempre stati.
Sei gomiti e tre lattine di birra sul tavolo di noce, in una stanza bianca. Al riparo dalla pioggia e dalle amenità sanvalentiniache. Non dall’erosione del tempo.

Siamo tre ragazzi coetanei, amici di una vita, che scherzano nella casa di uno di noi. Quella stessa casa che, pochi giorni dopo, ospiterà la sua famiglia: sua moglie e la loro splendida bimba di quattro mesi.

La malinconia è stata tanta.

Ieri sera siamo tornati in quella casa, questa volta abitata dai pianti della piccola e dai capelli bagnati della mamma. Ho accettato la birra che mi è stata offerta e i pop-corn e fatto le linguacce e preso in giro e letto le istruzioni del termostato e chiesto lumi sulla nuova cucina mondoconvenienza e...

La malinconia ha lasciato il posto ad una famiglia in divenire, che inizia ad affrontare una vita che ha scelto al posto suo. E in fondo lo spettacolo della vita, pure agli occhi di questo cuore avvizzito, resta sempre qualcosa cui val la pena di assistere.
Sorridendo.
Sorridendo.
Sorridendo.

PS: Oggi ho ripreso il sax. Che poi è il melancholic mood in cui si reincarna la mia fenice...